Come da pronostico, un terzo scarso degli aventi diritto è andato a votare ed il referendum non è passato. Sorpresi? Quante volte abbiamo già visto questo film? Non credo che nessuno fra quelli che si sono attivati per il “SI” credesse davvero di poter vincere.
Ora è la fase dei commenti e, tra chi brinda e chi si arrampica sugli specchi, vorrei proporre alcune riflessioni personali.
Innanzitutto direi che bisogna distinguere i due fiaschi che il 17 si sono assemblati: il fiasco dell’istituto referendario ed il fiasco del movimento ambientalista.
Per quanto riguarda il primo, c’è poco da dire se non “Grazie Pannella”. Fu infatti il leader radicale che, oramai tanto tempo fa, tentò di scardinare la macchina del potere partitico subissando il governo con una massa di referendum che, sperava, avrebbe obnubilato le capacità di reazione dei partiti. Invece accadde il contrario. Da un lato, fu messa a punto una tecnica estremamente efficace per boicottare i referendum, come abbiamo visto anche nei mesi scorsi. Dall’altro, la maggior parte della gente si è stufata di troppe domande, troppo frequenti e troppo tecniche. Risultato, il più democratico degli istituti è morto ammazzato dal suo più ardente paladino. Si sapeva anche la settimana scorsa. Amen.
Il secondo punto è più complicato, a cominciare dal fatto che questo referendum è nato nell’ambito di una lotta per il potere interna al PD ed alla macchina statale. Tuttavia aveva delle implicazioni ambientali ed il movimento ci si è buttato. Ha perso, ma quello che mi interessa qui è che non abbiamo perso ieri: abbiamo perso sempre. Un movimento che 50 anni fa sembrava capace di cambiare l’agenda politico-economica globale si sta disintegrando senza aver ottenuto praticamente nulla.
Un dato questo inoppugnabile alla luce dei fatti: rispetto al 1970, la situazione ambientale del mondo è peggiorata in modo terrificante. E’ vero, il panda non si è ancora estinto, anzi è in lieve ripresa. Ma attenzione: ciò non è accaduto in forza di norme ed interventi del governo o di una presa di coscienza popolare. Bensì come “sottoprodotto” del boom economico ed edilizio cinese che ha drenato verso le grandi città decine di milioni di contadini e montanari. Questo ha dato temporaneo respiro ai boschi dove vivono i panda, ma intanto è raddoppiato l’inquinamento mondiale e con ogni probabilità abbiamo oramai superato il punto di rottura climatico. Un po’ quello che è accaduto in Europa negli anni ’50 e ’60, più in grande ed in un contesto globale ben peggiore.
E mentre quasi tutti gli indicatori mondiali di qualità ambientale peggiorano in maniera esponenziale (andate a leggere questo link), perfino sul piano culturale l’ambientalismo ha perso buona parte della la sua forza propositiva. Ad oggi, in Italia ed in Europa esiste una piccola e radicata nicchia di persone preoccupata per l’ambiente, ma le associazioni storiche stanno scomparendo, quelle nuove non decollano ed alle riunioni si vedono sempre le stesse teste, sempre più bianche. E mentre sui teleschermi assistiamo alla telecronaca in diretta del collasso della nostra civiltà, continuiamo a ripetere come dei mantra parole ormai prive di senso, come “sostenibilità” ed “efficienza”. Né servono a molto quei pochi che, viceversa, accettano il ruolo di “foglia di fico” del sistema economico, sempre senza preoccuparsi minimamente di come questo si interfacci con la realtà.
Non è un caso se tutti i testi fondamentali per l’ambientalismo sono vecchi di 50 anni: “Silent Spring” 1962, “The Population Bomb” 1968, “The Entropy Law and Economic Process” 1971, “Limits to Growth” 1972.
Dopo è stato scritto molto e molto a proposito, ma i termini fondamentali della questione erano chiari allora ben più di ora.
Le opzioni possibili invece sono cambiate perché il tempo è passato e molte delle cose che non sono state fatte in passato non potranno essere fatte in futuro.
D’altronde, sull’altro fronte le cose vanno perfino peggio. Se nel 1970 le principali industrie europee finanziavano lo studio che portò ai “Limiti dello sviluppo”, oggi il panorama economico è dominato da individui che si occupano di grattare il fondo del barile. Oppure da ingenui che davvero credono che eliminando i pochi brandelli di tutele ambientali e sociali ancora esistenti si possa rilanciare una crescita economica che per noi è finita da anni e per il mondo (probabilmente) sta finendo proprio adesso. Amen (un’altra volta).
Dunque la domanda che mi pongo è questa: Ha ancora senso che esista un movimento ambientalista? Se si, quali gli scopi che si dovrebbe prefiggere?
Non è una domanda nata oggi dalla sconfitta di ieri. E’ una domanda nata 10 anni or sono dalla sconfitta di 50 anni consecutivi in cui non è stato possibile modificare di un millimetro la traiettoria suicida della civiltà umana. Oggi semplicemente la ripropongo, perché ancora non ho trovato una risposta.
Un commento su “Abbiamo perso; un’altra volta.”