La visita di Hollande in Egitto.
Alcuni giorni fa il presidente francese, François Hollande, si è recato in visita ufficiale in Egitto e, per l’occasione, sono stati firmati una serie di contratti. La notizia ha sollevato un certo scandalo fasullo in Italia. “Cattivi francesi che fanno affari profittando che l’Italia ha delle grane con l’Egitto per via di Regeni”. Pietosa messinscena, dal momento che noi italiani non abbiamo esitato un attimo a consegnare due dei nostri soldati all’India. Che neanche li processa e quindi li tiene (lo tiene, perché uno poi se l’è potuta svignare) in ostaggio a tempo indeterminato. E questo per salvare un contratto da 12 elicotteri che poi (giustamente) è saltato lo stesso.
Dunque, sgombriamo il campo dalla nostra ipocrisia e concentriamoci su quella altrui, tanto per imparare qualcosa.
Durante i discorsi ufficiali, Hollande non ha resistito alla tentazione di fare il maestrino, ricordando al dittatore egiziano che “Il rispetto dei diritti umani è un punto di forza e non di debolezza”. Al Sisi, gli ha risposto per le rime, dicendo che, evidentemente, gli europei non si rendono neanche conto di cosa succederebbe se esplodesse l’Egitto.
Al di là della schermaglia diplomatica, cosa ci insegna questo fatterello?
Hollande ha detto una cosa perfettamente vera. Tanto più che per accollarsi le spese e gli obblighi di uno stato la gente ha diritto di avere qualcosa in cambio. E, tanto per cominciare, da sempre questo qualcosa è l’essere difesi, nei limiti del possibile.
Ma Hollande non è quel presidente che tiene il suo paese in stato di emergenza da mesi e a tempo ancora indeterminato? Che voleva far passare una riforma costituzionale che gli avrebbe attribuito poteri quasi dittatoriali e che sta mettendo in galera molti più ambientalisti e sindacalisti che Jihadisti? Quando si dice da che pulpito la predica!
D’altro canto è vero che quella di Al Sisi è una dittatura militare a tutti gli effetti e che quel che è accaduto a Regeni è probabilmente abbastanza frequente che accada agli egiziani. Anzi, più goffi si fanno i depistaggi degli egiziani, più aumenta il legittimo sospetto che dietro questo crimine ci sia implicato qualche personaggio importante del regime.
D’altronde ricordiamoci che l’alternativa alla dittatura militare è una dittatura islamista non più tenera di quella attuale e, per di più, ben disposta verso forme di “pulizia religiosa” anziché etnica. Ne abbiamo visto l’assaggio durante la breve presidenza Morsi.
Ma c’è anche la possibilità di una ben peggiore catastrofe egiziana, che è quella a cui ha fatto esplicito riferimento il generale: la disintegrazione dello stato e la guerra civile. Ed in questo Al Sisi ha detto una sacrosanta verità.
Se accadesse una cosa del genere, l’intero medio oriente salterebbe in aria come un petardo e la massa dei fuggiaschi verso l’Europa non sarebbe più di milioni di persone all’anno (come oggi) bensì di decine di milioni. Ci troveremmo costretti a decidere molto in fretta se sparare a vista sui barconi e lungo le frontiere, o se essere letteralmente sommersi da una massa di disperati in fuga.
Dunque quello che ha detto Al Sisi è sostanzialmente questo: “Guarda amico che tu hai bisogno di me. Se io mollo scoppia un casino che né tu, né nessuno dei tuoi amichetti sarebbe neanche lontanamente in grado di fronteggiare.” Ed ha perfettamente ragione.
Questo ci insegna una prima cosa importante: chi non è capace di gestire i fatti propri li rimette ad altri, ma così affida ad altri la propria sicurezza, finanche la propria esistenza. Nella fattispecie, si mette nelle mani di personaggi del tipo di Al Sisi e di Erdogan (o Gheddafi, di recente memoria). Personaggi che non solo sono dei dittatori o degli aspiranti tali, ma che neppure esitano ad alzare il prezzo; non solo in euro, ma anche in sostegno politico e militare.
La catastrofe egiziana.
Quanto potrà durare questa situazione? Probabilmente non molto.
La popolazione egiziana è passata da in 50 anni da 28 a oltre 90 milioni di persone, e continua a crescere ad un tasso superiore al 2%. Il che significa raddoppio (180 milioni) nel giro di 30 anni. Nel 2011, quando sono scoppiate le “primavere” erano 82 milioni, nel 2015 (quattro anni dopo) erano già 92!
Il 75% della popolazione ha meno di 25 anni, il che significa che, anche se la natalità crollasse bruscamente, la popolazione continuerebbe a crescere per almeno altri 50 anni (salvo catastrofi). Inoltre, l’egiziano medio, malgrado sia poverissimo e spesso disoccupato, ha un’impronta ecologica che supera del 200% la disponibilità del paese. Significa che per vivere come oggi, gli ci vorrebbero 4 paesi invece di uno. E l’impronta ecologica è un indice notoriamente molto ottimista.
L’estrazione di petrolio ha “piccato” una quindicina di anni fa ed è in calo molto rapido, quindi le importazioni dovranno comunque aumentare molto rapidamente. Il clima sta peggiorando e la produzione agricola cala, sostituita dalle importazioni, soprattutto dall’Ucraina, paese che qualche problema ce lo ha anche lui.
Il mare si sta mangiando il delta del Nilo, la cui portata sta diminuendo sia per ragioni climatiche, sia per il disboscamento a monte. Ma soprattutto per le derivazioni d’acqua per irrigazione in Sudan, Sudan del sud ed Etiopia, tanto che già vi sono varie minacce di guerra pendenti. Una per ogni diga in progetto.
Dunque la catastrofe si sarà con assoluta certezza. Non possiamo sapere quando, ma sappiamo che fra non molto ci saranno decine di milioni di persone in fuga, con ottime ragioni per farlo. Cosa pensiamo di fare?
Sostenere il governo, quale che sia e qualunque cosa faccia anche ai nostri cittadini, è un metodo per rimandare il disastro e guadagnare tempo. Ma la catastrofe egiziana non potrà essere evitata, qualunque cosa facciamo.
Abbiamo una strategia qualunque o pensiamo di continuare a trastullarci fra ignavia ed ipocrisia?