di Jacopo Simonetta
Nelle pillole scorse (qui, qui e qui) abbiamo dato un sommario sguardo alla teoria della transizione demografica e ad un paio di casi reali, non molto in linea con essa. Prima di proseguire questa carrellata con alcuni altri esempi, propongo una pausa di riflessione per discutere un interessante articolo recentemente apparso sull’autorevole rivista “Proceedings of the National Accademy of Sciences of the United States of America” (abbreviato PNAS) dal titolo “La riduzione della popolazione umana non è un rimedio rapido per i problemi ambientali“.
Raccomandando a chiunque di leggere l’originale, tirerò per prima cosa le somme di questo lavoro, per poi fare cenno a cosa manca. Lacune peraltro dichiarate e spiegate nell’articolo stesso.
Quello che dice
L’articolo si compone di tre parti. Nella prima gli autori hanno testato mediante dei modelli matematici quali effetti demografici avrebbero riduzioni nel tasso globale di natalità, ferme restando le altre condizioni (tasso di incremento della aspettativa di vita media e saldo migratorio zero – ovviamente visto che si tratta di proiezioni a livello globale). Il risultato era abbastanza scontato: riduzioni anche estreme, tipo un solo figlio per donna come media mondiale, avrebbero effetti trascurabili nell’immediato e modesti nel giro di decenni; mentre diventerebbero molto importanti dopo una settantina di anni. Nella fig. 1 si riassumono gli scenari delineati, come si vede solo lo scenario 4 (declino della natalità ad un solo figlio per donna a partire dal 2045 e aspettativa di vita media costante sui valori del 2013) comporterebbe un sensibile rallentamento della crescita in tempi brevi e una riduzione della popolazione a 4 miliardi di persone al 2100. In compenso, proiettando i risultati su tempi appena più lunghi (2130) si vedrebbero risultati abbastanza sconvolgenti (fig. 2).
Una seconda serie di prove ha testato l’effetto che avrebbero catastrofi bibliche, in grado di spazzare via miliardi di persone nel giro di pochi anni. Ebbene, qualcuno sarà sorpreso, ma il risultato è che avrebbero un impatto trascurabile. Perfino un ipotetica pandemia che sterminasse 2 miliardi di persone non ridurrebbe gran che la popolazione sui tempi lunghi. Una catastrofe da 6 miliardi di morti nel 2040 significherebbe comunque oltre 5 miliardi di persone nel 2100. Ovviamente nell’ipotesi che, nel frattempo, i parametri di natalità e mortalità restassero quelli attuali.
Il risultato è teorico, ma attendibile. Per citare un solo caso, il XX secolo è stato quello che ha visto la maggiore crescita demografica della storia della nostra specie, ad onta di un’infinità di guerre fra cui le due più terribili di sempre, epidemie carestie assortite, nonché Hitler, Stalin, Mao e vari loro imitatori.
Infine, gli autori hanno ripartito il mondo in 14 regioni dal comportamento demografico relativamente omogeneo ed hanno confrontato questa ripartizione con la distribuzione delle zone in cui si trovano i massimi livelli di biodiversità a livello globale. Ne è risultato un quadro abbastanza fosco, con la situazione peggiore di tutte in Africa; continente in cui l’altissima crescita demografica sta comportando una distruzione particolarmente rapida di biodiversità
Nelle conclusioni, si afferma quindi che occorre assolutamente rilanciare a tutti i livelli le politiche di controllo e riduzione delle nascite, ma che questo sarà inutile se, contemporaneamente, non si ridurranno drasticamente i consumi pro-capite che, negli ultimi decenni, sono invece aumentati ben più rapidamente della popolazione.
Una conclusione corretta, ma incompleta.
Quello che non dice
Per quanto riguarda la prima parte del lavoro, la principale lacuna, peraltro dichiarata, è il tasso di mortalità. Gli autori hanno cioè indagato gli effetti sia di una catastrofe biblica che di modeste variazioni nella natalità e nella mortalità infantile. Ma non le conseguenze di un incremento di uno o due punti percentuali nella mortalità degli adulti. In altre parole, si è dato per scontato che l’attuale tendenza all’incremento dell’aspettativa di vita prosegua secondo la tendenza attuale; oppure che si stabilizzi. Ma non si è presa in considerazione l’ipotesi di una sua riduzione sul lungo periodo. Come se l’aspettativa di vita fosse indipendente dall’evolvere delle condizioni economiche, ambientali e sociali.
Dunque, invece di immaginare pestilenze globali e guerre nucleari, proviamo semplicemente ad ipotizzare che quella “stagnazione secolare” di cui parla l’FMI gradualmente coinvolga tutte le principali economie del mondo. Significherebbe il diffondersi e moltiplicarsi di situazioni analoghe a quelle già viste nell’ex URSS (v. pillola prossima ventura) durante gli anni ’90 o, attualmente, in parecchi paesi anche occidentali; pur senza arrivare alla gravità di situazioni come quella attuale in Venezuela. Aggiungiamoci crisi umanitarie analoghe a quelle attualmente in corso, ma in un contesto di minori disponibilità di intervento da parte della comunità internazionale; poi una riduzione dei servizi sanitari gratuiti e l’effetto cumulativo dell’inquinamento. Non appare fantascientifico ipotizzare un incremento del tasso di mortalità di 2-3 punti percentuali che, associato al proseguimento dell’attuale riduzione della natalità, comporterebbe il dimezzamento della popolazione in molto meno di un secolo. E senza neppure scomodare il 4 cavalieri dell’Apocalisse.
Una seconda osservazione riguarda l’analisi relativa alle possibili grandi calamità. Che, di solito, catastrofi repentine non abbiano impatti demografici duraturi è un fatto storicamente confermato. Anzi, a seguito di guerre ed epidemie, spesso si verificano significativi rimbalzi di natalità (v. il caso cinese pillola 2). Tuttavia, sia gli esempi storici che i modelli matematici, riguardano popolazioni in crescita, colpite da momentanee catastrofi. Dal momento che la natalità è fortemente influenzata da fattori sociali e psicologici (oltre che economici ed ambientali), non possiamo sapere che effetto avrebbe una calamità biblica su di una popolazione che è già in contrazione per altre cause. La gente potrebbe infatti reagire in modo tradizionale, con un ritorno di natalità, ma potrebbe anche reagire in altro modo. Tanto più che la morte di miliardi di persone, specie se in paesi industrializzati e specie se per causa bellica, si accompagnerebbe ad un tracollo irreversibile dell’economia globale. Cosa che contribuirebbe a mantenere elevata la mortalità e (forse) a mantenere bassa la natalità anche ad emergenza finita.
Infine, per quanto riguarda la dinamica regionale, lo studio pubblicato su PNAS dichiaratamente trascura l’effetto delle migrazioni in quanto dipendente soprattutto da fattori politici e militari del tutto imprevedibili. Il che è vero, ma le migrazioni rappresentano il fattore demografico determinante nel mondo attuale e prossimo venturo. Trascurarle significa girare largo da una mina politica, ma anche dal nocciolo della questione.
Lacuna eguale e contraria
Può essere interessante confrontare i risultati dello studio in questione con il blasonatissimo “Limiti della Crescita” (LdS). Malgrado la veneranda età, questo rimane infatti ancora lo studio più completo disponibile, proprio perché centrato sull’interazione tra fattori economici, ambientali e demografici. Inoltre, caso raro, le sue anticipazioni sono state finora sostanzialmente confermate dai fatti. Eppure contiene un errore strutturale analogo, ma contrario, a quello dell’articolo sul PNAS.
Nel modello Word3 (cuore dello studio LdS) fu infatti incorporata la teoria della “Transizione demografica” che prevede, in caso di crescita economica, un calo sia della natalità che della mortalità cosicché la popolazione dapprima cresce e poi si stabilizza. Viceversa, in caso di crisi economica grave e persistente, prevede un aumento di entrambe, sia pure con un prevalere della mortalità, cosicché la popolazione diminuisce lentamente.
Sulla base di ciò, LdS propone uno scenario base con l’inizio di una irreversibile contrazione economica fra il 2020 ed il 2030 circa, seguita da un picco demografico circa 10 anni più tardi, cui dovrebbe seguire una lenta decrescita. Oggi sappiamo però che, almeno in molti casi, ad un peggioramento delle condizioni economiche e sociali fa riscontro sia un aumento della mortalità, sia un calo della natalità (v. ad esempio la Russia anni ’90). Anzi, almeno in alcuni casi documentati (fra cui l’Italia) il calo della natalità si verifica già a livelli di crisi troppo lievi per provocare aumenti sensibili della mortalità. Tornando quindi allo scenario BAU di Word3 (fig.4), sarebbe quindi perfettamente plausibile ipotizzare un calo della popolazione molto più rapido di quello indicato dalle curve, almeno in vaste regioni della Terra. Personalmente, anzi, ritengo che questo sia lo scenario più probabile, anche se non azzardo profezie.
Tirando le somme
- La bomba demografica ci sta scoppiando sotto il naso proprio ora ed ha appena cominciato a farci male. Il “meglio” deve arrivare ed arriverà. Su di una cosa gli autori dell’articolo sul PNAS hanno perfettamente ragione: non ne usciremo alla svelta. Qualunque scenario minimamente realistico indica oltre il secolo venturo un possibile ritorno entro densità umane forse sostenibili. Sempre che, nel frattempo, clima e biosfera non siano collassati perché, se ciò accadesse, l’estinzione della nostra specie potrebbe anche verificarsi.
- Probabilmente, un’ipotetica ecatombe nucleare o d’altro genere non avrebbe effetti demografici duraturi, anzi potrebbe provocare un riflusso di natalità.
- La popolazione non tenderà a stabilizzarsi, bensì a diminuire, ma non in modo omogeneo. Ciò, unitamente agli altri fattori (climatici, ambientali, politici ecc.), renderà la questione delle migrazioni uno dei temi su cui si giocherà la sopravvivenza delle società. Quello che stiamo vedendo oggi non è che il “lieve vento” che precede la tempesta.
Che cosa ha senso fare?
Soprattutto evitare il “benaltrismo”. Cioè lo scarica barile fra chi vuole fare una cosa e chi un’altra: se vogliamo sperare di controllare almeno in parte ciò che accadrà nei prossimi decenni, sono molte le cose che dovremo fare contemporaneamente.
Secondo me, le principali emergenze sono salvare il salvabile del clima e della biosfera, in modo che il pianeta sia ancora abitabile fra un secolo o due. Dunque ogni forma di riduzione volontaria della natalità ha perfettamente senso ed i molti paesi è prioritario, ma darà dei risultati tangibili fra decenni e non possiamo permetterci di aspettare senza far altro.
Un secondo ordine di cose urgenti da fare riguarda quindi la riduzione dei finanziamenti alla vecchiaia per aumentare quelli alla gioventù. In tutto il mondo occidentale e non solo, i vecchi possiedono la quasi totalità del capitale e la maggior parte dei redditi, oltre che beneficiare della principale fetta dei finanziamenti pubblici (sanità, pensioni, sgravi e sconti vari, ecc.). Aveva senso quando i vecchi erano mediamente più poveri dei giovani, non ora che è il contrario. Non dico che bisognerebbe uccidere qualcuno, dico solo che una società che si dissangua per prolungare di qualche mese la vita di un vecchio, anziché investire per preparare e far lavorare un giovane non intende durare a lungo.
Poi ci sono una serie di provvedimenti che potrebbero rallentare il peggioramento del clima ed il collasso della Biosfera a partire da subito. In estrema sintesi, ridurre i consumi, ridurre i consumi e ridurre i consumi. Quindi tutta una serie di interventi attivi per conservare la biodiversità, i suoli e l’acqua.
Infine, altro punto dolente: garantire entro i limiti del possibile la sicurezza delle proprie frontiere. Il che non significa sigillarle (non sarebbe neppure possibile), ma significa avere un sostanziale controllo sui flussi in entrata ed in uscita. Ma significa anche essere in grado di dissuadere i potenziali aggressori in un mondo in cui le guerre regionali si moltiplicano e si ricomincia a temere perfino una guerra globale. Tutte cose che richiederebbero un drastico cambio di rotta non solo alla politica, ma soprattutto al nostro modo di pensare. Per ora non pare che ne abbiamo.
Gli articoli parlano dei dettagli, i libri del quadro d’insieme.
“Da molti anni di riflessioni nasce “Picco per capre”, un libro scritto per persone che hanno voglia di capire cose di cui sentono parlare (cambiamento climatico, crisi ecologica, picco del petrolio, limiti della crescita, ecc.) e di cui intuiscono l’importanza, ma che non hanno né gli strumenti, né il tempo per affrontarle su testi tecnici o anche di divulgazione “alta”.
La capra non è stupida, solo un po’ ignorante e indaffarata a trovare le risorse per vivere.
Estratto dalla prefazione di Luca Mercalli. “Picco per Capre” cerca di spiegare in termini semplici situazioni e concetti complicati.
Beh, non tutti i mali vengono per nuocere !
Lo sapevamo già prima , ma per esempio, la peste ha avuto i suoi benefici demografici :
Labour-saving innovation[edit]
By 1200, virtually all of the Mediterranean basin and most of northern Germany had been deforested and cultivated. Indigenous flora and fauna were replaced by domestic grasses and animals and domestic woodlands were lost. With depopulation, this process was reversed. Much of the primeval vegetation returned, and abandoned fields and pastures were reforested.[33]
The Black Death encouraged innovation of labour-saving technologies, leading to higher productivity.[34] There was a shift from grain farming to animal husbandry. Grain farming was very labor-intensive, but animal husbandry needed only a shepherd and a few dogs and pastureland.[33]
Plague brought an eventual end of Serfdom in Western Europe. The manorial system was already in trouble, but the Black Death assured its demise throughout much of western and central Europe by 1500. Severe depopulation and migration of the village to cities caused an acute shortage of agricultural laborers. Many villages were abandoned. In England, more than 1300 villages were deserted between 1350 and 1500.[33] Wages of labourers were high, but the rise in nominal wages following the Black Death was swamped by post-Plague inflation, so that real wages fell.[28]
Labor was in such a short supply that Lords were forced to give better terms of tenure. This resulted in much lower rents in western Europe. By 1500, a new form of tenure called copyhold became prevalent in Europe. In copyhold, both a Lord and peasant made their best business deal, whereby the peasant got use of the land and the Lord got a fixed annual payment and both possessed a copy of the tenure agreement. Serfdom did not end everywhere. It lingered in parts of Western Europe and was introduced to Eastern Europe after the Black Death.[33]
There was change in the inheritance law. Before the plague, only sons and especially the elder son inherited the ancestral property. Post plague all sons as well as daughters started inheriting property.[33]
La riduzione della popolazione è stata un beneficio anche se la peste è stata una maledizione.
IN quanto alla riduzione dei consumi, anche qui si cade nel preferirla alla soluzione di controllo delle nascite . forse perchè quest’ultima è pericolosamente sospetta di razzismo ( poichè colpisce i bianchi ricchi e perdona i neri poveri…Io sono sempre sospettosa- Infati , che giova se noi riduciamo i consumi ma il Terzo Mondo non riduce i suoi figli, in modo che ci sarà piu’ distruzione della biodiversità che è nelle zone del Sud ? Ho in mente molte piu’ ragioni, e piu’ articolate, ma non ho il tempo qui, solamente vorrei esprimere il mio orrore alla proposta di eliminare le sovvenzioni agli anziani, questa categoria bistrattata , che viene considerata mangiapane a tradimemnto, yttrrascurando iol fatto che essi hanno costruito con il loro lavoro il futuro, anche se un futuro precario, ma non era loro colpa, non potevano sapere dove si andava. Ora, spremuti come un limone dal quale no si puo’ piu’ servire, saranno relegati in asili per vecchi o avere la scelta dell’eutanasia forzata .per mancanza di cure adeguate accompagnata da disprezzo. I giovani se la caveranno da soli, lasciate che spremano l’ingegno, se lo hanno, e non gravare sulle generazioni passate . Spero che nessun politico legga questo articolo,altrimenti ne farà una Proposta di Legge .