La corruzione ha certamente molto a che fare con l’ingloriosa fine delle società. La corruzione é un fenomeno che alimenta se stesso riducendo l’efficienza dell’amministrazione, cosa che favorisce la corruzione e via di seguito, come ben illustrato in un recente post da Pierfranceschi.
Come sempre quando si ha a che fare con dei fenomeni complessi, la domanda se è nato prima l’uovo oppure la gallina rischia di non avere senso. Tuttavia, ci sono degli elementi che più di altri possono dare l’avvio a siffatti circoli viziosi (alias retroazioni positive e forzanti in termini scientifici).
Le diverse dimensioni della corruzione.
La corruzione in senso stretto è la classica “bustarella”, ma ne esistono altre forme, meno violente, ma anche molto più diffuse.
Intanto abbiamo spesso il caso di funzionari ed impiegati che fanno, o non fanno, determinate cose non in cambio di soldi sonanti, ma per procacciarsi utili benevolenze. Ad esempio, il dirigente che insabbia una pratica non gradita ad uno che può influenzare la sua carriera, o viceversa.
Un’altra forma molto diffusa è favorire amici e parenti, variante chiamata “nepotismo”. Ma in effetti questa forma non sempre è nefasta. E’ infatti abbastanza naturale preferire di lavorare con chi si conosce e si sa come lavora. Mettiamoci poi nei panni di qualcuno che, per esempio, ha lavorato per anni a gratis con tale professore e poi, quando finalmente si libera un posto, gli passa davanti un altro che, semplicemente, ha avuto un colpo di fortuna al concorso.
Il problema si pone quindi soprattutto quando questa radicata abitudine viene gestita per piazzare degli incapaci in posti di responsabilità. Semplicemente perché fanno comodo a chi comanda più di loro. Diciamo che è un’arma a doppio taglio i cui effetti dipendono da come la si adopera.
Ma la forma di corruzione più diffusa e nefasta e quella che è anche perfettamente legale e che, con termine tecnico, è chiamata “paraculismo”. Vale a dire, usare il potere conferito dal proprio incarico non per far funzionare qualcosa, bensì per tenere bene al calduccio le natiche del soggetto. Come se lo stipendio fosse qualcosa di dovuto e non qualcosa che deve essere guadagnato. E’ particolarmente nefasta perché generalizzata, ma anche perché costituisce la matrice in cui facilmente si sviluppano forme più perverse di corruzione.
Prima di tutto una questione di legittimità
In una società funzionale, la classe dirigente comanda perché un vasto numero di persone si riconoscono in dovere di ubbidirgli. È quello che si chiama legittimità. Può avere fondamento in un’infinità di narrative diverse, ma alla fine funziona finché la gente pensa che i loro capi abbiano a cuore l’interesse comune. Che magari sacrifichino i loro gregari, ma non per disinteresse, ma perché è necessario per un bene ancor superiore.
Si vede bene in condizioni di stress estremo, come in combattimento. I soldati si fidano dei loro ufficiali fino a farsi uccidere. Ma se pensano che i loro superiori si disinteressino di loro e del loro sacrificio, cessano immediatamente di fidarsene e di ubbidire. Smettono di pensare a combattere e cominciano a pensare a cavarsela. Se possono disertano. Non a caso, la prima cosa che si insegna ad un ufficiale è come guadagnare e mantenere la fiducia della truppa. Cose semplici, ma essenziali come preoccuparsi delle loro necessità spicciole più che delle proprie e dimostrare di essere disposti a correre rischi superiori a quelli richiesti. Non a caso, in ogni guerra, la mortalità degli ufficiali è percentualmente più alta di quella dei soldati.
Nella vita civile tutto è più mitigato ed ovattato, ma fondamentalmente funziona allo stesso modo. Un impiegato che si sente apprezzato dal suo dirigente non esita a fare straordinari non pagati, pur di portare a buon fine un progetto importante. Lo stesso individuo, se pensa che il principale tiri l’acqua a l suo mulino e basta, farà tutto il possibile per imboscarsi, dimenticando che il suo stipendio non lo paga il dirigente, bensì il contribuente.
E il fenomeno che una volta si definiva con l’adagio: “Il pesce puzza dalla testa”.
Si badi bene che non è affatto detto che una classe dirigente altamente legittimata faccia davvero il bene della sua gente. Semplicemente, la legittimità conferisce efficienza operativa. Si pensi alla Germania nazista, per farsi un’idea degli effetti perversi che la legittimità può avere.
Comunque, l’egoismo e/o l’incapacità cronica erodono la legittimità. In questo caso rimangono in piedi due opzioni per mantenere in moto la macchina pubblica: il tornaconto personale e la paura. Le due cose possono anche in parte coesistere, ma di solito il primo prevale nelle prime fasi di disintegrazione di una società; la seconda nelle ultime. Il difetto è che entrambe aumentano i costi e riducono l’efficienza.
Nel caso del tornaconto personale, è infatti necessario che ogni funzionario od impiegato trovi il proprio vantaggio ad ogni passaggio. Non necessariamente una bustarella od un buon posto. Magari solo una seccatura in meno o fregare qualche minuto sull’orario che, moltiplicato per decine di migliaia di persone, rendono il meccanismo sempre più impastato. Né nuove regole e controlli possono risolvere la situazione, se coloro che le dovranno applicare saranno ancora guidati dall’interesse personale, anziché de quello collettivo. Direi che noi oggi siamo un fulgido esempio in questo campo.
La paura comporta la messa in opera di sistemi di controllo e repressione che a loro volta dovranno essere controllati e così via. Il modo con cui si sono avvitati su sé stessi i regimi del “socialismo reale” è abbastanza emblematico da questo punto di vista.
Anche noi abbiamo perso la guerra fredda?
La corruzione (in senso lato) c’è sempre stata in tutte le società, ma non nella stessa misura. In Europa, ha avuto un forte impulso a partire dagli anni ‘90. Le forzanti che hanno contribuito ad accelerare il fenomeno sono parecchie. A me ne vengono in mente due: la scomparsa di un pericolo comune e la scomparsa di un limite preciso fra affare e malaffare.
Il primo punto è raramente citato, ma fondamentale. Se temere la propria classe dirigente di solito ha un effetto deprimente sulle società (con buona pace di Machiavelli), è però vero che la paura di un nemico esterno ha di solito l’effetto contrario. Una minaccia esterna ha di solito il potere di aggregare la gente e di far passare il bene comune (reale o presunto che sia) davanti al proprio. Non a caso i governi in difficoltà spesso virano verso un nazionalismo tanto più esacerbato, quanto maggiore è il loro bisogno di rinverdire la propria legittimità. Talvolta non si esita neppure a creare degli incidenti ad hoc più o meno gravi. Più spesso si sfruttano le occasioni offerte dall’imbecillità altrui, come attacchi terroristici, incidenti diplomatici ed altro. Naturalmente, la cosa può funzionare o meno, ma il principio resta valido.
Per 40 anni l’unico pericolo che la maggioranza degli occidentali ha temuto è stata l’Unione Sovietica. Pericolo reale e consistente che la propaganda ha poi saputo gestire molto bene. Ma soprattutto un pericolo in grado di imporre dei limiti perfino all’avidità ed all’egoismo della classe dirigente economica. Del resto, oltre cortina, il pericolo di un’invasione della NATO era parimenti il collante che contribuiva a tenere insieme una società sempre più disfunzionale, sia pure con uno stile diverso. Quando è venuto meno, neppure la Stasi ed il KGB sono più bastate ad evitare la disintegrazione dell’impero.
Cessato il pericolo, il sistema sovietico si è infatti disintegrato e per una decina di anni la nicchia ecologica lasciata libera dallo stato è sta riempita da una miriade di organizzazioni mafiose o semi-mafiose. Perlopiù nate da pezzi della macchina sovietica che si sono messi a lavorare in proprio. E, privi oramai di ogni remora, hanno perlopiù trovato utile svendere l’eredità sovietica a imprenditori e faccendieri occidentali che non hanno esitato a fare man bassa. Al di là dell’errore geo-strategico irreparabile, questo ha creato una contiguità assoluta fra affaristi delle due ex-sponde, finalmente affratellati dalla possibilità di saccheggiare impunemente intere nazioni.
Una situazione cui si è potuto mettere solo un parziale e tardivo rimedio e che, fra le altre conseguenze, ha contribuito non poco a rendere molto evanescente la linea di demarcazione tra affari leciti ed illeciti. Tanto ad est, quanto ad ovest.
Il cane e le zecche.
Un cane in buona salute che vive in campagna ha sempre qualche pulce e di tanto in tanto una zecca. Gli danno fastidio, ma non più di questo. Ma se un cane si ammala, facilmente verrà attaccato dai parassiti in modo tanto più massiccio, quanto più grave è la sua malattia. Ed il gran numero di succhiasangue lo debiliteranno, così da farlo aggravare, fino a morire. In altre parole, come ogni buon contadino sa, i parassiti hanno una funzione ecologica precisa: finire i soggetti debilitati. Togliere i pidocchi ad una pianta o le zecche ad un cane gli fa certo bene, ma se non lo si guarisce dalla sua malattia profonda, torneranno e lo finiranno.
Qualcosa del genere , credo, succeda alle società umane.
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