Ok, forse dopotutto, non e’stata una grande idea.
Alcune migliaia di anni di storia umana o, più semplicemente, qualche decennio di personale esperienza sulle liti tra condomini, ci avrebbero dovuto consigliare maggiore prudenza. Come sapete tutti, all’inizio nessuno aveva preso molto sul serio il regime di Pyongyang. Un regime vetero comunista ed ipermilitarizzato, con un dittatore dalla zazzera improbabile e dalla ferocia paranoica, affamatore del proprio popolo. Sostanzialmente isolato dal resto del mondo, compresa la grande alleata di sempre, la Cina, che da almeno un paio di decenni preferiva di gran lunga fare affari ed intessere relazioni economiche ed industriali con la Corea del sud, piuttosto che risvegliare i fantasmi di una feroce lontana ed inutile guerra, materializzati dalla linea di armistizio lungo il 38esimo parallelo.
Paradossalmente, e’ stato proprio il crescente isolamento, insieme alla sindrome di accerchiamento, a spingere il regime a ricercare l’atomica, non preso sul serio, almeno all’inizio, da nessuno.
Gli sbeffeggiamenti sono continuati per qualche anno, tra test falliti, esplosioni mancate o quasi, missili che si spetasciavano appena partiti, etc, etc.
Poi, ad un certo punto, un test e’riuscito. Una bomba atomica, per quanto piccola ed inefficiente, e’ esplosa, la prima al mondo, da decenni a questa parte. All’improvviso il ridicolo e sanguinario dittatore, che fucilava a cannonate i dirigenti che si addormentavano ai suoi discorsi o dava in pasto ai cani suo zio, si e’imposto sulla scena del mondo. In verità quel che voleva il regime era riaprire una trattativa con l’altra meta del paese, quella ricca e moderna, senza il cappello in mano, su basi paritarie. Oltre, naturalmente rinforzare la posizione interna, titillando, come ogni regime che si rispetti, il desiderio e la speranza di una futura grandezza internazionale, in un presente di fame più che letterale.
In ogni caso, una bomba atomica, da che mondo e’ mondo, non e’mai stata un’arma di offesa ma di difesa, specialmente quando i nemici hanno la bomba atomica anche loro. Sapendo di non avere speranza in un eventuale confronto, si cercava di rendere poco appetibile un attacco, nel contempo candidandosi o sperando di candidarsi ad un ruolo di potenziale potenza regionale. Insomma: la speranza era quella di potersi sedere ai tavoli diplomatici internazionali e sperare che le proprie istanze fossero ascoltate.
Di certo, nemmeno un Pazzoide, come il “brillante compagno” Kim Jong-Un, ha mai pensato seriamente di attaccare la Corea del sud o il Giappone o gli Stati Uniti. Anche solo il confronto tra le forze già schierate lungo il 38 esimo parallelo essendo sufficiente a comprendere che un attacco, improvviso o meno, motivato o meno, non avrebbe avuto la benché minima probabilità di successo.
In effetti una pantomima molto simile si era svolta, solo pochi anni prima, in medio oriente, con il programma nucleare iraniano.
Anche qui un misto di orgoglio nazionalistico, la necessita di focalizzare il malcontento interno verso i nemici esterni e la volontà di mantenere una leadership regionale storica ed ultra secolare, uniti al fatto che l’arcinemico Israele era a sua volta dotato di bomba atomica, avevano portato ad un convinto programma nucleare, sia pur debolmente velato da supposti sviluppi civili. In verità per le centrali nucleari civili non c’e’alcun bisogno di creare impianti di trattamento ed arricchimento su grande scala, potendosi rivolgere al mercato internazionale o comunque potendo fermare l’arricchimento ( il processo che innalza la % di uranio 235, radioattivo, rispetto all’Uranio 238, non radioattivo )al 5% e non al 90% necessario per le bombe. Comunque sia, dopo minacce, sanzioni, feroci proclami vicendevoli, era bastato un Presidente USA dotato di buon senso per comprendere che l’Iran non aveva alcuna intenzione di scatenare una suicida guerra santa contro Israele ma semplicemente vedere riconosciuto il proprio ruolo e prestigio locale. Senza contare, ovviamente, le sempre aperte questioni sulle aree di sfruttamento del petrolio e del gas naturale nel Golfo.
Poi è arrivato il Nuovo Presidente USA, diversamente biondo, una caricatura ambulante da reality, un Briatore meno di successo ( e’ praticamente fallito tre o quattro volte) ed infinitamente meno sveglio e globalizzato. Inutilmente tenuto a freno dall’establishment ed anzi sempre più circondatosi di yes-man, si e’convinto che una bella botta di machismo bellicistico in politica estera era quello che ci voleva.
Non certo in Siria, dove non si capiva chi fossero i “buoni” da “aiutare” ed i cattivi da sterminare, quanto in Corea, dove invece il cattivo c’era e non sembrava nemmeno tanto pericoloso, visto l’esercito con le scarpe sfondate ed i carri armati vecchi di 50 anni e senza benzina. Era sembrata una cosa facile, un modo per compattare il paese al grido di “America first!” in un momento in cui perfino i suoi elettori sembravano aver capito l’enorme cappellata fatta votando lo zazzeruto palazzinaro.
Qualche minaccia, due o tre giri di sanzioni, un paio di ultimatum e poi una scarica di missili cruise, seguita da un paio settimane di bombardamenti mirati e, se proprio proprio necessario, una rapida e decisiva campagna militare. Il tutto avrebbe portato alla riunificazione delle due Coree, dato un chiaro segnale alla potenza locale dominante ( la Cina) ed aperto nuovi mercati ai prodotti americani: potete contare sui nostri ragazzi e sulle nostre portaerei ( almeno quelle che funzionano) ma in cambio, dovete abolire dazi, barriere o normative che impediscano la libera circolazione dei nostri prodotti e, sopratutto, dei nostri capitali.
Una cosa già fatta talmente tante altre volte (con successo variabile, veramente) da non dover nemmeno essere troppo pianificata. In ogni caso le potentissime lobbies degli armamenti , mal che andasse, sarebbero state, d’ora in poi, dalla sua parte, senza contare la finanza, ovviamente.
Ci voleva un pretesto e, naturalmente, all’ennesimo lancio di un missile, caduto più per sbaglio che per volontà a meno di un chilometro da un’isola con una base USA, il pretesto era arrivato.
Le cose erano andate come previsto e, dopo un paio di settimane, il regime era allo stremo, le forze armate allo sbando, la popolazione affamata ed in preda al panico. Il regime aveva in effetti provato a lanciare un paio di dozzine di missili ma erano stati tutti intercettati e comunque, a parte forse uno, caduto in mare, avevano tutti testate convenzionali. Poi, d’un tratto come troppo spesso succede nelle vicende umane, era successo l’inimmaginabile.
Un piccolo aereo da trasporto, con a bordo alcuni alti dignitari del regime, si era fatto intercettare e dirottare in un aeroporto militare, vicino a Seul. Sembrava una delegazione venuta per trattare la tregua o la resa, ma era invece una missione suicida, concepita dai più fanatici seguaci di Kim.
A bordo del piccolo aereo c’erano dieci testate nucleari da circa 25 chiloton l’una. Buona parte dell’arsenale nucleare a disposizione del regime. Nell’insieme circa dieci volta la potenza dell’ordigno di Hiroshima. A causa della tecnologia di basso livello, della scarsa purezza dell’Uranio impiegato, della scarsa qualità della realizzazione dei detonatori etc etc, la reazione a catena era stata interrotta precocemente e l’esplosione era stata molto meno potente di quella teoricamente possibile. Anche così buona parte di Seoul era stata devastata, i morti erano stati centinaia di migliaia, i feriti milioni. Si era scoperto, per l’occasione, che i grattacieli con le pareti di vetro sono trappole mortali, anche quando la distanza dall’esplosione e’tale da mettere teoricamente al sicuro dai suoi effetti. Migliaia di persone erano state uccise dai vetri che cadevano in strada o verso l’interno. Vi erano stati morti anche a 15 km di distanza dall’esplosione.
Nell’olocausto erano morti anche quindicimila soldati americani, intere famiglie, general contractors, squali e squaletti dell’industria bellica etc etc. Oltre, ovviamente, a migliaia di cittadini del resto dell’occidente, cinesi, russi. Il mondo era restato con il fiato sospeso, attonito, come un bambino che si accorge che aprire la gabbia del leone allo zoo e’una cosa seria e non poi tanto divertente.
Dopo un ennesimo ultimatum, era arrivata, inevitabile, la risposta americana. Preceduta da avvisi alla popolazione, inutili visto la mancanza di mezzi di comunicazione non in mano al regime, ma utile per salvarsi la faccia, dieci atomiche tattiche, seguite da altre 15, avevano cancellato le principali basi militari del regime, centri di controllo ed assembramenti truppe, aprendo la strada ad una rapida conquista ed al collasso del figlio del “caro leader”.
Si erano contate circa un paio di milioni di vittime e quattro milioni di feriti, buona parte senza molte speranze di guarigione.
Il problema, a vederlo oggi, non erano i milioni di morti. Sulla testa dei quali, tutte le potenze nucleari riunite avevano giurato solennemente: mai più e mai poi!
Il problema era che si era creato un precedente, in un mondo sempre più in ebollizione.
Due anni dopo c’era stata la storia di Formosa. Poi il colpo di stato militar/estremistico in Pakistan, con le tre guerre regionali conseguenti…come e’andata lo sapete. Alla fine ogni regime “atomico” soccombente ( nonostante i veti internazionali molti altri regimi si erano affrettati a farsi il proprio arsenale atomico) aveva, piu’ o meno, seguito le orme di Pyongyang. E poi, quando già cominciavano a verificarsi in tutto il mondo i primi segni di leucemie da radiazione, era successo il patacrac, in un crescendo trilaterale e folle in cui le maggiori potenze nucleari avevano svuotato il loro arsenale sui rispettivi territori ma, più che altro, su buona parte dell’Asia.
Benché l’Africa, l’Oceania, il sud America e, stranamente, buona parte dell’Europa avessero scampato il peggio, non avevano potuto evitare i dieci anni di oscuramento solare ed inverno nucleare seguiti all’olocausto. Senza contare i morti per antrace ed altri agenti biologici, sparsi a piene mani da chi non poteva permettersi la bomba.
Quando il sole era tornato a splendere, si era salvato solo un essere umano su 100, comunque sempre 80 milioni di persone, per lo più ridotto ad una agricoltura di sussistenza ( peraltro su terreni piuttosto radioattivi) ed al saccheggio delle strutture rimaste…come voi quattro lettori sapete benissimo.
Con il senno del poi, avremmo dovuto saperlo. Con migliaia di anni di Storia ad urlarcelo, non avremmo dovuto avere dubbi.
Quando hai un’arma nell’arsenale, prima o poi la userai. Quando l’hai usata la prima volta, troverai sempre ottimi motivi per usarla ancora ed ancora…
Vabbe’ sono cose che ben conoscete. Me ne vado a cavare due patate blu dall’orto, per cena. Non sono male, come sapore, una volta che riesci ad evitare i tentacoli velenosi.
Nell’ambito del tardo Antropocene, il Plutocene è nato il 16 luglio 1945 col test Trinity (progetto Manhattan). Il Plutocene prende il nome dall’elemento Plutonio, che decade in Uranio in un tempo di dimezzamento di 24.100 anni. Durante il Plutocene la biosfera sarà dominata da elevate temperature, analoghe a quelle del Pliocene (2,6-5,3 milioni di anni fa) o del Miocene (5,3-23 milioni di anni fa), quando le temperature medie globali erano da 2 a 4 gradi centigradi più elevate, gli oceani erano più acidi e i livelli degli oceani tra 20 e 40 m più elevati rispetto l’epoca preindustriale del tardo Olocene. Dopo un periodo dominato da erbe e organismi resistenti alle radiazioni, soprattutto artropodi, un nuovo periodo glaciale indotto dal sequestro naturale della CO2 e dal raffreddamento associato al ciclo di Milankovic ed un graduale declino della radioattività, le nicchie saranno occupate dai sopravvissuti, inclusi mammiferi che scavano tane. A seconda dell’intensità della contaminazione radioattiva nelle varie parti della Terra, umani raccoglitori-cacciatori potranno sopravvivere ad alte latitudini e in alte valli delle catene montuose (Glikson 2017, The Plutocene: blueprints for a post-Anthropocene greenhouse Earth, Springer).