PILLOLE DEMOGRAFICHE 3 – India

Dopo lunga pausa, riprendiamo le nostre pillole; per le precedenti puntate si veda qui e qui).

In un commento alla seconda pillola, un lettore attento ha fatto giustamente rilevare che i dati  trattati sono del tutto insufficienti per capire i fenomeni.  Per esempio, cita il fatto che la forma della piramide demografica può determinare un forte incremento demografico anche con una bassa natalità e che la ripartizioni in classi di età è critica dal punto di vista economico.  Tutto vero ed è perciò che questa serie di post è composta da “pillole”: vale a dire frammenti scollegati di un quadro ben più ampio e complesso.  Lo scopo è solo quello di stimolare la discussione e  prego perciò chiunque abbia da aggiungere osservazioni e informazioni di contribuire mediante altri commenti.

In questa terza puntata parleremo del secondo paese più popoloso del mondo: l’India

A partire dall’indipendenza (1947), il tasso di crescita demografica dell’India è andato crescendo, con un lungo e poco pronunciato picco durato praticamente 15 anni, fra il 1970 e la metà degli anni ’80.   Poi ha cominciato a declinare molto lentamente ed è ancora superiore a 1% che significherebbe, se durasse, raddoppio in meno di 60 anni.   Può sembrare poco, ma invece è moltissimo.   Nel frattempo, la crescita economica è proseguita con sostanziale costanza, ma il periodo migliore (dai dati ufficiali) è stato fra il 2000 ed il 2010.   Attualmente pare si sia impantanata, ma molti dicono che la crisi sia passeggera.

Una lettura classicista ci dice che, come da manuale, la crescita dell’economia è alla base del lento, ma apparentemente inesorabile calo della natalità indiana.   La natalità ha infatti cominciato a ridursi sensibilmente dopo il ’90; cioè  dopo un decennio in cui il PIL nazionale era più che triplicato e quello pro-capite raddoppiato.
In parte sarà certamente così, ma un altro ruolo importante lo giocano anche altri fattori, fra cui l’inurbamento e la disoccupazione.   Il modo rurale indiano è infatti caratterizzato da un’estrema miseria, in gran parte dovuta proprio alla crescita demografica che porta sempre più bocche su sempre meno terra.   Tuttavia, tradizioni culturali e sociali fortemente nataliste sono profondamente radicate, mentre la disoccupazione praticamente non esiste.   Su di un podere si può infatti rimanere senza mangiare, ma non senza lavoro.
Proprio per sfuggire alla miseria, un’aliquota crescente di giovani si trasferisce in città dove trova un mondo completamente diverso.  Da un lato i servizi, anche sanitari, sono molto migliori e dunque la mortalità è minore; dall’altro la disoccupazione è molto alta (10% circa della forza lavoro, secondo dati ufficiali molto ottimisti e malgrado una vivace emigrazione).   Aggiungendo le difficoltà di alloggio, la disintegrazione delle tradizioni culturali (nel bene e nel male) e tutto il quadro del disagio urbano, non c’è niente di strano che un numero crescente di giovani rimandi o rinunci a “mettere su famiglia”.

By by Cindia

Fig. 2 – Potere d’acquisto pro-capite, in % rispetto a quello americano

Qualcuno si ricorda di quando si parlava di “Cindia”?   In parecchi vagheggiavano un’alleanza strutturale fra questi due giganti che, uniti, avrebbero dominato il mondo.   Partiti praticamente insieme nel 1980, i due paesi più popolosi del mondo hanno invece seguito strade assai diverse e, ad oggi, la Cina ha vinto la corsa.   Certamente il fattore demografico non è stato l’unico in gioco, ma è stato importante.

L’India fu il primo paese del mondo ad adottare misure per la diffusione della contraccezione fin dal 1951, ma con scarsi risultati per l’estrema resistenza culturale e religiosa della popolazione.  Negli anni ‘70, mentre Mao lanciava politiche nataliste, in India il governo varava politiche decisamente contrarie, culminate con le famose sterilizzazioni forzate.   Ciò malgrado, mentre  fra il 1965 ed il 1975 il tasso di natalità cinese diminuì spontaneamente e precipitosamente,  in India continuò a crescere fino alla metà degli anni ’80, per poi calare molto lentamente.   Ciò ha permesso ai cinesi un sensibile aumento del reddito pro-capite fin dai primi anni ’80  e, quando nel 2001 la Cina entrò nel WTO, la sua popolazione era già quasi stabilizzata, seppure complessivamente giovane.   Una condizione ottimale per approfittare della situazione, con il più fantastico tasso di crescita economica mai visto nella storia umana.
Viceversa, la crescita demografica indiana ha continuato a assorbire parte della crescita economica fino ai nostri giorni, con un aumento del potere d’acquisto del cittadino medio che è meno della metà di quello dei cinesi.

Certamente in Cina non va tutto bene: tassi iperbolici di inquinamento di ogni genere, desertificazione, corruzione, abisso incolmabile fra i vincenti ed i perdenti della rivoluzione liberista (non liberale), eccetera.   Ma situazioni dello stesso genere, o perfino più gravi, flagellano un India che tenta di consolarsi raccontando a sé stessa che nel 2030 la marea montante della sua massa umana gli permetterà di surclassare definitivamente una Cina oramai invecchiata e declinante.
Molto poco probabile.   Intanto il Pakistan, che ha sempre mantenuto tassi di incremento demografico ancora più alti, si trova oggi in una situazione pressoché disperata.