Niente basta, a chi non basta quel che e’sufficiente /4

Il cipresso del pratone, cascine, Firenze

La prima grande domanda

Dove trovare allora i fondi per consentire una rapida ( possibilmente) transizione ad un’economia ed una Società che siano più sostenibili, eque, ambientalmente presentabili, con un paese che sta raschiando il fondo per consentire la sopravvivenza stessa dei suoi cittadini e delle sue imprese, grandi e piccole?

In sintesi: dai sussidi alle “fossili”. Oltre 19 miliardi di euro che sostengono decine di diversi settori che hanno in comune l’insostenibilità ambientale ed energetica, danni ambientali permanenti al territorio ed al pianeta, elevati costi fissi per la bilancia commerciale (la cosiddetta bolletta energetica, ricchezza prodotta dal paese trasferita ogni anno all’estero, per lo più a paesi non esattamente nostri amici né i primi della lista, quanto a rispetto dei diritti umani e sviluppo sociale).

Ma da dove cominciare, una volta reperiti i fondi, magari in forma graduale, per consentire i necessari adeguamenti del sistema paese?.

La lista è lunga ed allungabile a piacere. Dda qualche parte, però bisogna cominciare, possibilmente da settori un poco meno ovvi e quindi spesso trascurati dimenticati o sottovalutati, come impatto positivo e rapporto costi/benefici.

Cominciamo, quindi!

E cominciamo da quanto abbiamo imparato, ancora in questi mesi.

Di Smart Working, telelavoro, coworking, si scrive e si parla, spesso a sproposito, da anni, addirittura decenni. Alcuni paesi eEuropei hanno anche legiferato in merito. Il parlamento europeo ha emanato una direttiva volta a conciliare la vita lavorativa e quella familiare, in pratica dedicata alle varie forme di lavoro agile.

Anche l’Italia ha recepito la novità, dapprima con il jobs act e poi con il decreto Madia che prevede la sperimentazione tra i dipendendenti pubblici, con un obiettivo di un 10% di lavoratori in sperimentazione.

Non c’è bisogno di dire che la pandemia ha imposto di rendere operativo il lavoro agile con una velocità ed una intensità assolutamente imprevedibile.

Nonostante problemi di connessione, mancata programmazione e talvolta, inesperienza, in qualche modo, mentre scrivo, si è attuatao una sperimentazione a larghissima scala del tutto impensabile con risultati operativi in qualche modo accettabili.

Sembra una cosa minore, ma potenzialmente il lavoro agile potrebbe essere una vera rivoluzione e permettere di liberare decine di miliardi, altrimenti da investire altrimenti in nuove infrastrutture per il trasporto pubblico e privato, e riorientandorli sulla conversione elettrica del medesimo e sulla ristrutturazione e manutenzione straordinaria delle linee esistenti.

Infatti, con una riduzione anche relativamente modesta, degli spostamenti casa lavoro attuali, sai renderebbero probabilmente sufficienti, salvo rare eccezioni, le infrastrutture già presenti. In questo modo, non dovendo disperdere risorse nella realizzazione di nuove opere, si risolverebbero i problemi, ben noti a tutti noi, di cronica mancanza di manutenzione di ponti, viadotti, gallerie, manti stradali, linee aeree, flotte veicolari, che affliggono il nostro sistema di trasporti. 

migliori risultati. Di meglio con meno risorse, insomma.!

Chiaramente, ora siamo in emergenza. Ma le emergenze finiscono, e, se viene sfruttata l’esperienza, possono dare preziosi suggerimenti su come sfruttare le lezioni apprese.

Una prima proposta, quindi consiste nell’incentivare il lavoro agile riconoscendo incentivi, da suddividere equamente tra lavoratori ed aziende, rappresentando  ( questa è una prima ed importante novità, rispetto alle varie proposte di volta in volta discusse).

Gli incentivi vengono calcolati sulla base dei benefici sociali attesi, valutabili anche in termini prettamente economici,come costi risparmiati per il sistema paese.

Poiché i costi diretti e indiretti che un paese affronta per ogni km/abitante/anno percorso in auto, sono noti e risultano da numerosissimi studi  tra i quali citeremo questo, solo a titolo di esempio, questi costi derivanti dallo status quo sono calcolabili ed analogamente valutabili sono i risparmi derivanti dalla riduzione dei  km/lavoratore/anno evitati.

Ancora oggi almeno due terzi degli spostamenti casa/lavoro sono effettuati con mezzi di trasporto privati, per vari motivi, da quelli “culturali”, probabilmente prevalenti, a quelli logistici (mancanza di servizi pubblici sufficientemente rapidi frequenti e funzionali nelle ore desiderate). 

Poiché i costi per realizzare una rete pubblica che sostituisca questi trasporti in modo accettabile sono al di là del gestibile nel futuro prevedibile e richiedono comunque decenni per un sufficiente adeguamento, si deve pensare ad integrare e migliorare i sistemi di trasporto pubblico esistenti e nel contempo ridurre gli spostamenti individuali tramite l’incentivazione del lavoro agile.

Tale incentivazione, oltre ad essere equamente suddivisa tra datore di lavoro e dipendente sarà effettuata tramite il calcolo dei km complessivi di spostamento individuale risparmiati in un anno dal dipendente, facilmente calcolabili una volta noti i giorni di lavoro agile effettuati in rapporto al totale dei giorni lavorati nell’anno, la sede di lavoro,  il domicilio del lavoratore. 

Riconoscendo anche solo una percentuale dei benefici attesi per il sistema paese, ad esempio il 50%, si ottiene una cifra per dipendente non indifferente, nell’ordine di alcune centinaia di euro / anno, mediamente, considerando una distanza casa lavoro media di 10 km ed una presenza sul posto di lavoro ridotta dell’80%.

Le modalità di questa incentivazione costituiscono un secondo e non indifferente elemento di novità adeguato ai tempi ed alle disponibilità informative attuali, che rendono facile il calcolo e la relativa verifica, anche in automatico.

A riguardo della distanza mediamente percorsa sopra indicata, esistono numerosissimi studi, a verifica.

Qui un quadro recente degli spostamenti casa lavoro in italia. Qui un interessante studio delle poste italiane.

Tali incentivi, sotto forma di sgravi fiscali, uniti ai fondi europei disponibili, potrebbero essere sufficienti per dare il via ad un processo che comunque, con tempi probabilmente troppo lunghi, si svilupperebbe egualmente.

Il compito dello Stato deve essere quello di garantire standard di lavoro da casa non alienanti ed incentivare ulteriori forme di lavoro che consentano la socializzazione come il coworking, etc etc.

Niente basta , a chi non basta quel che e’sufficiente/3

…In poche parole, ci siamo resi conto che la tana del bianconiglio che ci siamo scavati su misura di quanto teorizzava un certo Paul Ricardo, oltre 100 anni fa (ogni paese deve specializzarsi nel produrre e vendere quel che sa fare meglio e comprare dagli altri quello che non sa fare o sa fare peggio) è davvero profonda. 

Che la produzione ottimale non è detto che corrisponda ad una situazione ottima, per i cittadini di un paese. 

Stiamo, insomma, rendendoci conto che mantenere un presidio di capacità produttive nei vari settori merceologici è nell’interesse strategico di un paese.

In Italia, non devo dirvelo, abbiamo ampiamente rinunciato, al contrario dei nostri vicini, a combattere per mantenere queste capacità affidando ai singoli più ostinati e fantasiosi il compito di lottare e sopravvivere sul mercato globale.

A parte malversazioni, lenocini e sudditanze psicologiche varie, non siamo stati disposti a pagare il prezzo di questa semplice constatazione ( tanto più vera in un paese che, oltretutto è anche povero di materie prime). Abbiamo privatizzato, svenduto, rottamato interi settori economici.

E’ evidente che, se vogliamo garantire un poco di resilienza al paese, dobbiamo recuperare, per quanto è possibile, una parte delle capacità perdute. Questo implica investimenti e, visti i capitani di industria residui che abbiamo ed il loro comportamento, la parziale nazionalizzazione delle aziende così recuperate o salvate, a tutela dell’interesse pubblico e sociale. 

Europa o non Europa.

Il tutto in un quadro strategico più ampio che ci ricorda che il paradigma della crescita infinita è impossibile e che, dato questo, anche il paradigma dell’indebitamento pubblico e privato deve essere portato alle sue estreme conseguenze, usato per permettere una transizione decente ad un nuovo patto sociale, un new deal, giustappunto, che prenda atto della incontrovertibile realtà del raggiungimento dei limiti fisici del pianeta e della necessità di abbandonare la tenace illusione della crescita infinita.

Già difficile a dirsi nei paesi avanzati, ma inaccettabile nei paesi in via di sviluppo che lottano per garantire un minimo standard ai miliardi di loro cittadini.

E’ vero: solitamente ad un aumento del reddito pro capite corrisponde, fino ad un certo punto, un aumento del danno ambientale e poi, almeno localmente, una decrescita.

E’ la cosiddetta curva di Kuznets ambientale

Peccato che questa curva esprima l’inquinamento LOCALE. Spesso e volentieri (volentieri, si…salvo che per chi ne subisce le conseguenze) questa curva si traduce in trasferire in paesi meno fortunati le produzioni più inquinanti ed impattanti. ed un poco di pennellate verdi qua e la.

Dobbiamo fare di meglio.

E’ evidente quindi che dalla crescita sostenibile, che non esiste (vedasi sopra) dobbiamo passare allo sviluppo, all’evoluzione.

Unica possibilità di mantenere una qualche forma di collante sociale mondiale. La transizione verso un sistema sostenibile non può avvenire in poco tempo, anche muovendosi alla massima velocità possibile ed ammesso che ci si decida a perseguirla. Va cambiato, semplicemente, il modo di produrre, le motivazioni per produrre, la struttura economica, sociale, paradigmatica della società. Il modo di vivere. Di tutti.

E va fatto convintamente, con il minimo di coercizione possibile. Vasto programma!

Pure dobbiamo muoverci, evolverci, o collassare.

Ai grandi pensatori, ai migliori politici, ai leader del futuro, l’onere di costruire un sistema economico e sociale che funzioni. A noi agevolare il cambio di mentalità e modalità produttive, economiche e sociali che possano agevolare e rendere meno traumatica la transizione.

Se, quindi, la sfida è la più grande che sia mai stata affrontata dall’umanità e sicuramente la più complessa, a noi cittadini comuni va il compito di dare il nostro piccolo contributo.

Non possiamo salvare il mondo, non tutto.

Ma possiamo salvarne un pezzettino, contribuire un poco, aiutare, spingere, suggerire, influenzare, dare l’esempio di attività iniziative che vadano nella direzione giusta.

(continua)

Niente basta, a chi non basta quel che e’ sufficiente/2

Il grande faggio, Forca di Presta

Il nostro piccolo grande paese, mai così piccolo e mai così grande come in questi giorni, è stato, più di una volta nella Storia, di esempio e di guida ed ispirazione agli altri. Anche in questa occasione ci siamo confermati, pregi e difetti. Via via che la situazione esce dall’eccezionalita’, se lasciamo fare, prevarrano i nostri difetti.

Invece sarebbe tempo di mettere la nostra genialità al servizio della Storia, e l’economia, sul sedile posteriore, dove è giusto che stia. Non me lo auspico in solitario isolamento. 

Non ci inventiamo nulla. Lo scrisse ed enunciò Keynes, nel momento in cui l’economia sembrava proprio tutto, nel profondo della crisi del ‘29 e lo ripeté molte volte negli anni seguenti in forme diverse.L’economia non è tutto. Il denaro non è tutto. 

E’ una cosa che credo in molti sentano dal profondo. La benzina nel serbatoio è importante. ma ancora di più un’auto economica, efficiente, poco inquinante, che ci porti dove vogliamo andare. 

“La più grande difficoltà nasce non tanto dal persuadere la gente ad accettare le nuove idee, ma dal persuaderli ad abbandonare le vecchie.”

Proprio per quello è importante che ci si chieda, una buona volta, dove dobbiamo andare. Ed anche per parafrasare Toto e Peppino: “dove dobbiamo andare per andare dove vogliamo andare?”

Semplice: nel futuro, se non per noi, per i nostri figli. Se vogliamo un futuro, siamo obbligati a pensarlo e dovrà essere molto ma molto diverso da quel che si ottiene semplicemente estrapolando quello che stiamo facendo oggi per i prossimi decenni. Perché quel che stiamo facendo oggi al pianeta somiglia molto a quello che il coronavirus ha fatto a noi e certi favori prima o poi vengono restituiti, con gli interessi. Se l’ha capito una ragazzina svedese con le treccine e milioni di suoi coetanei, è tempo che lo capiamo anche noi, che abbiamo l’onere e l’onore di decidere, più delle generazioni che ci hanno preceduto, del loro destino.

Teniamo anche conto che la ragazzina ha ragione a farci fretta: non abbiamo più molto tempo per gestire la transizione, per prepararla e, se possibile orientarla verso direzioni costruttive e non distruttive.

Dopo questa lunga premessa, cominciamo da quello che ci ha insegnato e ci sta insegnando, mentre scrivo, questo elegante guscio proteico contenente un pezzetto di RNA peculiare, chiamato Covid 19.

La prima, ovvia cosa che possiamo dire di aver ben compreso, è quanto fragile illusoria e controvertibile sia la struttura produttiva mondiale determinatasi in questi anni. La strettissima interconnessione tra centri di produzione lontani migliaia di km consente di realizzare beni e componenti a prezzi e in quantità inimmaginabili solo dieci o venti anni fa. Nel contempo rende estremamente problematico, per un paese, anche grande come L’Italia o addirittura un gigante economico come gli USA, realizzare beni in apparenza relativamente semplici come mascherine o respiratori ( il genio Italico è riuscito a realizzarne, nell’emergenza, a partire dalle maschere da sub di una nota multinazionale).

Le centinaia di componenti di questi ultimi sono infatti realizzati in tanti centri sparpagliati nell’intero paese o continente quando non sull’intero orbe terracqueo.

Il primo insegnamento è quindi che il mondo è interconnesso molto di più di quanto vogliano far sembrare i leader mondiali. Una guerra mondiale, con due o tre coalizioni avversarie sarebbe quasi impossibile, perché, inesorabilmente, buona parte delle tecnologie di ognuno di questi paesi andrebbero in crisi, con i produttori degli apparati più tecnologici che sarebbero rapidamente in difficoltà nel reperire componenti o materiali necessari per fare funzionare la macchina produttiva e la vita stessa.

Questa, tutto considerato è una cosa positiva.

Il guaio è che potrebbe capitare ed infatti è capitato, che la guerra si debba combattere contro qualcosa di “altro”. Che siano alieni, virus, tempeste solari, un pianeta che si ribella alla nostra tirannia, poco cambia: basta un uragano che distrugga una fabbrica in malesia, un incendio in una fabbrica in sicilia, una rivolta vicino ad un deposito Taiwanese o una manifattura ad HongKong ed ecco che in tutto il mondo si creano problemi enormi.

(continua)

Niente basta, a chi non basta quanto e’ sufficiente

Pratolino, la grande quercia

prima parte

“Niente basta a chi non basta quanto è sufficiente.”

Epicuro

“Non è lontano il giorno in cui il problema economico prenderà il posto che gli compete, ovvero il sedile posteriore e l’arena del cuore e la testa saranno occupate o ri-occupate dai nostri reali problemi, i problemi della vita e delle relazioni umane, della creazione e del comportamento e della religione…”

John Maynard Keynes

Il Covid-19 resterà nella storia.

Di questo  paese ed anche nella nostra, personale.

Come la crisi più importante dai tempi della seconda guerra mondiale. Una grande tragedia, ovviamente, ma anche come una opportunità, se la sapremo cogliere, di ripensare ai valori che ci legano, alle cose che ci uniscono ed a quelle da cambiare. Perchè lo sappiamo, che dobbiamo cambiare. Perchè lo sappiamo che il paradigma sociale ed economico che ha plasmato la realtà che ci circonda non tiene più, è diventato un dinosauro, un gigante dai piedi di argilla, che in preda al panico può distruggere tutto intorno a lui, prima di cadere, vittima della sua fragilità e della sua incapacità di cambiare. Lo stiamo vedendo bene, in questi giorni, ed ancora non sappiamo ancora quanto grave sarà il danno provocato all’enorme schema Ponzi [1] che è diventato il mondo finanziario attuale[2].

Opportunità dicevamo.

Del resto sia i greci che i cinesi sapevano bene che la parola crisi (krísis è “scelta, decisione”) racchiude in sé una duplicità. I cinesi infatti così esprimono il termine:

Rischio ed opportunità, scelta, cambiamento. La seconda parola da sola è fortemente polisemica ( ha molti significati diversi). I vari significati, in ogni caso, vanno di pari passo. 

Enormi rischi, ad esempio quelli associati alla rivoluzione, alle guerre, alle carestie, alle epidemie (ahinoi) costituiscono anche enormi opportunità, che non sempre si sanno o vogliono cogliere. Cosa che la Storia, solitamente, rinfaccia a chi non le coglie, da sempre.

Certo: in un mondo dominato da un unico dio minore, il denaro, o meglio il debito [3], le opportunità vengono automaticamente convertite in opportunità di guadagno. 

E spesso nelle normali crisi finanziarie è così, per chi sa ed ha gli strumenti per coglierle.

Ma questa NON è una crisi normale. Non è infatti una crisi endogena al sistema. Non è una crisi di produzione, non è una crisi di liquidità, non è una crisi di domanda. Non è una crisi di fiducia: è tutto questo insieme ed altro ancora. Le centinaia di miliardi paracadutate dagli istituti centrali sui mercati, per cercare di salvare il salvabile, potrebbero non bastare. Un poco come avere il serbatoio pieno non serve a molto, se si ha il motore rotto.

In un mondo in cui, all’improvviso, il denaro non serve o non basta a far ripartire l’economia, la Società, è evidente che si debba pensare ad altro, ripensare ai fondamenti stessi della Società: lo sappiamo, l’abbiamo sempre saputo, in realtà, che ambire ad una crescita infinita in un pianeta finito non poteva avere senso. Se il prestigiatore, ovvero la scienza, ha tirato fuori dal cappello un numero strabiliante di conigli, la Storia ci ha sempre avvisato, nell’indifferenza generale, che anche il migliore illusionista non dispone di infiniti trucchi.

Ancora oggi buona parte degli economisti, pur riconoscendo che c’è seriamente qualcosa che non funziona, nell’attuale sistema, non ha voluto o saputo metterne in discussione i fondamenti [4]. Non tanto e non solo il principio astratto – e quanto mai falso – di libero mercato, una astrazione potentemente combattuta nella realtà, dominata infatti, sempre di più, da giganteschi conglomerati economici (che fatturano più di interi stati) ma anche, più sottilmente, il principio economico su cui l’enorme crescita economica di questi anni si è fondata e di cui ormai il sistema è diventato schiavo. Come un tossico all’ultimo stadio alla ricerca disperata di sempre maggiori dosi per ottenere lo stesso effetto. È tempo di comprendere che il debito e QUINDI LA CRESCITA non possono aumentare all’infinito, e che un nuovo paradigma, di conseguenza, è necessario. 

Non abbiamo la pretesa, ovviamente, di tratteggiare una nuova teoria economica, ma solo, in questo breve viaggio a tappe, proporre alcune piccole iniziative che, incidendo sulla vita di tutti i giorni di ciascuno di noi, ci facciano comprendere come è possibile cambiare concretamente ed in modo rapido l’impatto che abbiamo sull’ambiente, così permettendo, per intanto, di fare cambiare prospettiva a più persone possibile, a mostrare che un altro mondo è possibile, non in un remoto futuro ma qui, ora, domani. Nell’insieme vogliamo ottenere un di più di qualità della vita, consumando meno risorse. Di più con meno.

Dematerializzare la cosiddetta crescita (la crescita economica è apparente perché in realtà, in tutto il mondo aumenta più lentamente del debito necessario a sostenerla), che attualmente garantisce un minimo di prospettiva futura. 

In attesa di sostituirla con un vocabolo molto più interessante: lo sviluppo o in alternativa l’evoluzione. 

Non sempre infatti la crescita è sinonimo di evoluzione o miglioramento. I dinosauri, come è noto, crescevano moltissimo. Ma non sono sopravvissuti al meteorite, al contrario dei piccoli, adattabili, apparentemente fragili e furtivi mammiferi.

Alla prossima!

(continua)

[1] https://it.m.wikipedia.org/wiki/Schema_Ponzi

[2] https://www.crisiswhatcrisis.it/2020/01/20/yo-yo-36-miliardi-ed-una-bottiglia-di-rhum/

[3] https://www.crisiswhatcrisis.it/2016/07/28/il-picco-del-tempo-e-del-denaro/

[4] https://www.milanofinanza.it/news/perche-il-sistema-capitalistico-e-praticamente-morto-202005051341469082