Di Jacopo Simonetta
La rivolta dei Gilet Gialli è animata da un insieme di rivendicazioni, alcune molto stupide ed altre molto giuste. Vi convergono soggetti eterogenei come pensionati poveri e giovani disoccupati, ma anche militanti fascisti e comunisti, casseur di professione e molto altro. Un’eterogeneità che prosegue una tradizione antica come le società complesse: La rivolta del popolino esasperato.
Ogni rivolta ha una panoplia di cause e di effetti specifici. La rivolta dei Ciompi era molto diversa da quella di Masaniello e le “Jaqueries” avevano ben poco in comune con la Rivoluzione Francese. Eppure, mi pare che si possano individuare degli elementi in comune che riassumerei così:
- Assenza di un’ideologia di riferimento. Semmai l’ideologizzazione avviene in seguito, progressivamente, secondo lo sviluppo degli eventi e dei gruppi organizzati che riescono ad imporsi alla massa. Quando emerge un’ideologia, la struttura del movimento cambia, così come buona parte dei suoi aderenti.
- Assenza di una leadership. Anche i capi emergono gradualmente dalla massa e si impongono come rappresentanti e capitani, ma solo in corso d’opera e se la rivolta dura abbastanza a lungo.
- Tentativo più o meno riuscito di strumentalizzazione da parte di organizzazioni politiche e/o personaggi di spicco pre-esistenti.
- Una serie di cause inconsce, tutte derivanti dagli stress sociali ed economici connessi con quel fenomeno complesso e dinamico che possiamo chiamare “sovrappopolazione”.
- Una serie di cause molto coscienti, economiche e sociali, esacerbate dall’incapacità della classe dirigente ad affrontarle e gestirle.
- Un elemento scatenante futile, che fa da detonatore di tensioni profonde, accumulate nel tempo.
- Un fiasco finale. Di solito questo genere di rivolte spontanee si esaurisce per stanchezza; oppure viene repressa. In qualche caso storico, rivolte spontanee hanno portato a riforme politiche drastiche, quanto effimere. Qualche volta hanno invece scatenato dei terremoti politici di portata storica, ma senza migliorare le condizioni economiche e sociali dei ribelli. Semmai il contrario.
Dunque le rivolte sono inutili? No, perché nel bene e nel male rappresentano delle valvole di sfogo di tensioni divenute insostenibili. La classe dirigente che non ha sputo prevenirle o gestirle può uscirne vittoriosa o sconfitta. In questo caso, si verifica una sua sostituzione più o meno completa, ma le cause che hanno portato alla rivolta alla fine rimangono uguali, o peggiorano. Tranne, in qualche caso, la pressione demografica che può risultare alleggerita da un netto aumento della mortalità e/o dell’emigrazione, ma è difficile ritenerlo un successo.
Se si può azzardare una regola storica su questo genere di rivolte (non di tutte le rivolte) direi che è questa: “La ribellione inizia per esasperazione e termina per rassegnazione”. Talvolta per disperazione.
Anche a questo proposito, basta dare un’occhiata alla letteratura di 50 anni fa in materia di economia, ambiente e popolazione, per vedere che quello che sta succedendo è esattamente quello che, all’epoca, ci si aspettava che sarebbe successo. Le società complesse funzionano infatti bene finché usufruiscono di un flusso di bassa entropia crescente e si trovano immerse in un ambiente stabile. Quando queste condizioni vengono meno, le società entrano in crisi e cominciano a disgregarsi: un processo che continua finché non viene ritrovato un nuovo, temporaneo, equilibrio del sistema umano in rapporto al sistema naturale di cui fa parte.
Un processo frequente nella storia, ma che oggi, per la prima volta, riguarda l’intera umanità contemporaneamente.
La rivolta dei GG sarà utile se aiuterà qualcuno a capire che occorre attrezzarsi per rallentare e gestire la decrescita facendosi il meno male possibile, anziché continuare a vagheggiare un impossibile ritorno della crescita economica..