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Pillole demografiche – Italia e Nigeria.

di Jacopo Simonetta

Concludiamo la nostra carrellata con due paesi molto diversi.  Per le pillole precedenti si veda (qui, quiquiqui e qui).

Italia.

Per prima l’Italia, che a prima vista si presenta come un caso paradigmatico di “transizione demografica”; ma ad un più attento esame forse non del tutto.

fig.1. Demografia italiana. Purtroppo la qualità della figura è pessima, ma rimane leggibile sapendo che il grafico va dal 1860 al 2016; la linea rossa rappresenta i morti e quella azzurra i nati.

Semplificando al massimo, nei primi 40-50 di unità nazionale, sono andate aumentando sia la natalità che la mortalità, con un saldo attivo piuttosto ridotto.  Poi c’è stata una lunga fase di lieve calo della natalità, ma ancora maggiore della mortalità.  Dunque un saldo attivo molto maggiore, ma in gran parte assorbito dall’emigrazione, il che spiega anche il rapido calo della mortalità. (v. fig. 2).
Poi ci fu il duplice disastro della “grande guerra” e, subito dopo, della “spagnola”.   Da notare che in questo, come in moltissimi altri casi, durante la fase acuta della moria anche la natalità è crollata, per rimbalzare subito dopo ad un livello leggermente superiore a quello precedente la crisi.  Interessante è anche osservare che, malgrado le politiche fortemente demografiche di Mussolini, durante il “ventennio” la natalità diminuì più rapidamente della mortalità, pur restando il saldo in campo ampiamente positivo. Quindi ci fu un doppio picco positivo di natalità a cavallo del picco negativo corrispondente alla 2a Guerra Mondiale (che fece molte più distruzioni, ma meno morti della prima, malgrado i bombardamenti l’olocausto, le rappresaglie, ecc.).
Poi, e questo è molto interessante, una netta depressione durante la ricostruzione degli anni ’50 e quindi un ripido picco positivo, in corrispondenza di quei mitici e ultra-ottimisti anni ’60 che ancora ci ossessionano.  Coi primi anni ’70 (maggiori diritti alle donne e diffusione del femminismo, ma anche primo sensibile intoppo sulla via della crescita), iniziò il graduale calo della curva fino a quota di mantenimento alla metà degli anni ’90 (al netto dell’immigrazione che ha mantenuto un saldo attivo della crescita demografica complessiva).  Tutto considerato, il picco storico di natalità è stato ai primi del ‘900, seguito da un altalenante declino.
Viceversa, considerando anche il saldo migratorio, il massimo storico di incremento demografico è invece quello che stiamo vivendo da 15 anni a questa parte.

Fig. 2. Demografia italiana saldo naturale (linea grigia) e saldo migratorio (linea nera).

L’ultima notazione rilevante è questa: la crisi mai finita del 2008 si è finora accompagnata sia un lieve aumento della mortalità, sia una lieve diminuzione della natalità. Non è detto che entrambi i parametri siano direttamente correlati ai dati economici.  Anzi, sicuramente, diversi fattori concorrono a questo risultato, ma è interessante che ciò sia esattamente il contrario di ciò che prevede la “Teoria della Transizione demografica”.
Comunque, bisogna tener ben presente che si tratta di una fluttuazione ancora troppo lieve e troppo recente per poter dire se si tratta di “rumore” o di una tendenza strutturale.

Se ora diamo un’occhiata alla struttura della popolazione italiana, vediamo che innegabilmente abbiamo un problema di “bubbone senile” in rapido arrivo.  E’infatti  innegabile che una società con più vecchi che giovani abbia dei problemi drammatici.  Dunque (escludendo, spero, l’ipotesi di una mattanza degli “over-50”), vediamo le strategie possibili.

1 – Rilancio della natalità.  La più sbagliata di tutte perché fino a 20 anni (minimo) i giovani italiani sono improduttivi, non foss’altro perché vanno alla scuola dell’obbligo.  Ipotizzando quindi di lasciare fermi gli altri fattori (che in realtà cambiano sempre e comunque), aumentare la natalità significherebbe essere rapidamente stritolati nella morsa di un duplice “bubbone”: troppi vecchi e troppi bambini contemporaneamente sulle spalle di troppo pochi adulti (quelli che oggi sono ragazzi).  Inoltre, ciò non farebbe che accrescere il dramma della sovrappopolazione locale e globale.

2- Favorire l’immigrazione.  E’ la scelta che è stata fatta.  E’ già meno stupida della precedente perché non aggiunge bocche al desco globale; ma le aggiunge comunque a quello nazionale che è già in affanno, specie fra i bassi ranghi dei commensali.   Inoltre, la pratica dovrebbe aver ormai dimostrato che le difficoltà di integrazione aumentano in misura più che proporzionale coi flussi.  In parole povere, se effettivamente un modesto flusso di immigrati può rappresentare un vantaggio, flussi imponenti come quelli verificatisi negli ultimi 15 anni sono ampiamente in grado di costituire la proverbiale “goccia che fa traboccare il vaso” in società già ampiamente fragilizzate da altri fattori.

3 – Ristrutturare la società adattandosi al fatto che, mediamente, saremo sempre più poveri.  Ciò rappresenterebbe un compito immane che dovrebbe investire ogni aspetto, a cominciare dal taglio dei redditi eccessivi al fine di rendere accettabile il loro stato ai poveri.  Poi bisognerebbe organizzare un sistema di “welfare” minimale, sostenibile con fondi decrescenti e quindi puntando sulla ricostituzione delle reti sociali autonome.  Ma occorrerebbe anche piantarla di raccontare balle razziste e/o buoniste per, finalmente, spiegare cosa sta accadendo e perché.  I passaggi dolorosi ed indispensabili sarebbero moltissimi e la crisi sarebbe grave, ma temporanea (pochi decenni).

Nigeria.

La Nigeria è il paese che più di tutti si presta ad illustrare l’esplosione repentina delle “bomba demografica”.  In appena 50 anni la sua popolazione è triplicata e continua a crescere ad un vertiginoso tasso vicino al 3% annuo.Le conseguenze sono state complesse.  Anche se molti acclamano il vertiginoso aumento del PIL del paese, la devastazione pressoché totale degli ecosistemi ha provocato la disintegrazione degli equilibri sociali e delle società tradizionali, con un tasso di inurbamento fantastico sia per dimensione che per velocità. Guerre locali, terrorismo, corruzione ad ogni livello, disoccupazione alle stelle e molto altro completano un quadro che sta già contribuendo a destabilizzare una bella fetta di mondo. Come se non bastasse, una situazione politico-sociale molto instabile all’interno di un paese ricco di risorse minerarie non può che essere un potente attrattore per speculatori privi di scrupoli da tutto il mondo.
La metà della popolazione ha meno di 17 anni e i due terzi vive in completa miseria, ma ciò nondimeno diverse ricerche internazionali hanno classificato il Nigeria come uno dei paesi più ottimisti del mondo.  Nel senso che la stragrande maggioranza delle persone, ad onta di ogni difficoltà e disgrazia, ha grandi progetti per un futuro che immaginano molto migliore del presente.
Questa è probabilmente una delle due principali ragioni per un calo così lento della natalità, in un ambiente così ostile per la grande maggioranza dei cittadini.  L’altro è che la larghissima maggioranza dei nigeriani sono cattolici o mussulmani, molto convinti e credenti in entrambi i casi.

Fig. 3 previsioni demografiche ufficiali per i 7 paesi più popolosi del mondo; la linea rossa rappresenta la Nigeria.

Come andrà nei prossimi decenni?  Impossibile a dirsi, ma di sicuro la proiezione demografica ufficiale è la meno probabile di tutte.  Anche tenendo conto che l’impronta ecologica è un parametro parziale, non c’è dubbio che la popolazione attuale abbia già ampiamente superato la capacità di carico del Paese da decenni.
Che la popolazione ed i consumi possano crescere ancora per molti anni non si può escludere a priori (il mondo reale è sempre ricco di sorprese), ma diciamo che è perlomeno molto improbabile.
Finora l’emigrazione di una molto modesta percentuale della popolazione complessiva (ma consistente della classe media) è stata sufficiente ad evitare il collasso del paese, ma situazione peggiorerà molto rapidamente e qualunque evento capace di fermare un simile impulso sarebbe (sarà?) qualcosa di “biblico” che coinvolgerà il mondo intero.
Faremmo bene a pensarci e ad prepararci, nei limiti del possibile..

Immigrazione e chiarezza.

 

Quando si parla di qualcosa, è una buona abitudine di chiarire prima il significato delle parole che si usano.   Specialmente quando ci sono ampi margini di vaghezza.

Le principali rotte d’arrivo. La cartina è del 2013 e la situazione attuale è un poco diversa in quanto la rotta africana passa oggi per la Libia, non più per la Tunisia (Fonte Limes)

Dunque:

1 – Immigrato.   Persona che si trasferisce per un lungo periodo di tempo (anni o decenni) in un luogo diverso da quello dove è nato.   Può significare che proviene da un paese estero, ma anche da un’altra regione del medesimo paese, come i calabresi a Milano.   Quasi sempre, il motivo per emigrare è la ricerca di un lavoro.   Il 1 gennaio 2017, i cittadini stranieri regolarmente residenti in Italia erano circa 5 milioni (dati ISTAT), di cui circa 1.150.000 romeni e circa 100.000 da altri paesi UE.   I residenti stabili con passaporto non europeo sono quindi circa 3,5 milioni, perlopiù albanesi e marocchini, seguiti da cinesi e ucraini.   L’unico paese africano ad avere una comunità residente consistente è il Senegal con poco meno di 100.000 persone (v. tabella in calce all’articolo).
Norme e condizioni per gli immigrati sono completamente diverse a seconda dei paesi di partenza e di arrivo.   Ad esempio, i cittadini dei “paesi Maastricht” possono stabilirsi dove vogliono, all’interno dell’UE, senza richiedere particolari permessi; di fatto non sono “stranieri”.   Cittadini di altri paesi (ad es. la Georgia e l’Ucraina) possono invece entrare in Italia liberamente, ma per stabilircisi hanno bisogno di un permesso di soggiorno rilasciato dalla prefettura.   Altri ancora hanno infine bisogno anche di un visto d’entrata, solitamente a termine, rilasciato dalla locale ambasciata del paese di destinazione.

2 – Profugo.   Spesso usato come sinonimo di rifugiato, giuridicamente indica invece la persona che è costretta a tornare in patria dal paese dove era emigrata.   Un esempio tipico sono gli europei tornati a seguito dell’indipendenza delle colonie; oppure gli italiani fuggiti dall’Argentina durante la dittatura.   Attualmente, per l’Italia è un fenomeno irrilevante, ma fra un paio di anni potrebbe esserci una grave crisi, a seconda di come andranno le trattative per la “Brexit”.

4 – Richiedente asilo.   Persona che richiede lo status di “Rifugiato” che viene rilasciato dalla prefettura in base alle disposizioni diramate dal Ministero degli Interni (v. seguito).   Quantificare questa aliquota di persone è arduo perché in costante e rapida evoluzione.   Sappiamo però che i “centri di accoglienza” ed il sistema “Sprar”  (compreso il famoso albergo a 30 € giornalieri) accolgono circa 174.000 persone (dati Ministero dell’Interno aggiornati al marzo 2017).   Non tutti sono richiedenti asilo, ma può andare come ordine di grandezza.   Teoricamente, coloro le cui richieste non vengono accolte dovrebbero essere respinti o rimpatriati.   In pratica ciò non avviene e, di solito, le persone si danno alla macchia arrangiandosi poi in qualche modo (v. seguito).

Boat people arrivati in Europa, fra il 2006 ed il 2015 (dati UNHCR).

5 – Rifugiato.   Persona che viene protetta dalle autorità del paese di accoglienza perché in patria è vittima di una specifica persecuzione per motivi politici, etnici o di altro genere.   Di solito si tratta di singole persone come esponenti ed attivisti politici ; per esempio molti intellettuali russi fuggiti in occidente durante l’epoca sovietica.   A seguito di guerre possono però acquisire lo status di rifugiato intere popolazioni, come i palestinesi fuggiti dalle zone occupate da Israele nel ’48 o gli Yazidi siriani fuggiti dalle zone occupate dall’ISIL nel 2015.   Oggi i rifugiati in Italia sono fra i 150.000 ed i 190.000 a seconda degli anni, una delle cifre più basse d’Europa.   E’ anche importante ricordare che lo status di rifugiato garantisce una serie di diritti, ma impone anche obblighi ben precisi.

5 – Extracomunitario.   Persona che non ha un passaporto europeo.  Dunque, fra gli altri,  sono extracomunitari i somali ed i cinesi, ma anche gli americani e, fra un paio di anni, anche gli inglesi.

6 – Immigrato irregolare o Clandestino.   Persona che si trova in territorio italiano senza autorizzazione.  Per definizione, solo gli extracomunitari possono essere clandestini.   Quanti siano ovviamente non si sa, ma sono stimati fra i 400 ed i 500.000 (dati Ministero degli Interni).   Perlopiù è gente a cui è stato rifiutato lo status di rifugiato, ma a cui è stato dato un permesso temporaneo; oppure che semplicemente se la è squagliata da un centro di accoglienza.   Teoricamente dovrebbero essere rimpatriati e le prefetture emanano circa 35.000 decreti di espulsione l’anno.   Ma ne vengono effettuate meno del 10%, per una combinazione di fattori (costo elevato dell’operazione, farraginosità della procedura, ordini ministeriali).   In compenso si conoscono bene le due principali porte di ingresso: gli aeroporti di Malpensa e di Fiumicino.  La maggior parte degli irregolari arriva infatti tranquillamente in aereo, se necessario con un visto turistico o di studio, per poi rimanere campando di espedienti nella speranza di incappare in una sanatoria od altro sistema per regolarizzarsi.
La seconda rotta è quella dei barconi e dei salvataggi in mare che tanto spazio ottiene sui media, malgrado sia quantitativamente secondaria.
Un problema cruciale è che molte di queste persone vanno ad ingrossare le fila dei parassiti sociali, della malavita e/o dei nuovi schiavi, volenti o nolenti.

Dunque quale è il problema?

Tirando le somme, la popolazione extracomunitaria in Italia ammonta probabilmente a qualcosa vicino ai 4,5 milioni di persone (clandestini compresi), pari a circa il 7-8% della popolazione.   E per rispondere a chi teme l’islamizzazione del paese, di questi meno della metà provengono da paesi a maggioranza mussulmana, e la metà di questi (circa 400.000) dall’Albania; non propriamente terra di islamisti scatenati.

Può non sembrare molto, eppure un pericolo che rischia di determinare in buona parte il futuro dell’Italia e dell’Europa, anche se per ragioni solitamente trascurate (o addirittura negate) anche da chi più teme questo fenomeno.

1 – La principalissima ragione è che l’Italia, come tutto il resto d’Europa e del mondo, è tremendamente sovrappopolata.   Gli indicatori sono molteplici, ma qui citerò solamente l’Impronta ecologica che, molto approssimativamente, misura quanto una data popolazione ecceda la capacità di carico del suo territorio.   L’Italia ha un’impronta pari a circa il quadruplo di ciò che sarebbe probabilmente sostenibile.  Ovviamente, non conta solo il numero delle persone, ma anche quanto queste consumano.   Non per niente, al calo del 25%  del nostro PIL pro-capite dal 2008  (dati Banca Mondiale), ha fatto riscontro un quasi equivalente calo della nostra impronta ecologica.   Una tendenza contrastata dall’aumento demografico, ma in misura limitata perché la stragrande maggioranza degli immigrati appartengono alle classi più povere che, loro malgrado, consumano meno della media nazionale.   Dovrebbe perciò essere evidente che continuare a ridurre i consumi sarà necessario (probabilmente anche inevitabile), ma che su tempi nell’ordine dei decenni non può bastare.   La decrescita dei consumi, felice o meno, potrà riportare la bilancia in equilibrio solo se accompagnata da una parallela, graduale riduzione della popolazione.   Cioè esattamente quel  1,2 – 1,5 % l’anno circa che avremmo in assenza di un’immigrazione che, viceversa mantiene la popolazione su tassi di crescita molto alti: circa il 2% annuo, anche se con fortissime fluttuazioni (dati ISTAT).   Ovviamente, 50 o 60 anni di decrescita demografica comporterebbero enormi difficoltà legate allo sbilanciamento verso l’alto della struttura demografica, ma sarebbe una crisi gestibile e prodroma di un migliore futuro.   L’alternativa, continuare a crescere, servirebbe solo a rimandare ed aggravare il problema, visto che i bambini di oggi saranno i vecchi di domani (si spera).   Finché, non sappiamo come e non sappiamo quando, sarà superato un limite oltre il quale la decrescita demografica avverrà comunque, ma in modo precipitoso ed incontrollabile.

Popolazione residente in Italia (esclusi irregolari).

2 – La seconda ragione è che attualmente l’Italia funziona come principale porta di ingresso in Europa per un flusso di persone che cercano poi di raggiungere altri paesi, soprattutto Francia, Germania, Inghilterra e paesi scandinavi.   Vale a dire che l’Italia contribuisce largamente non solo alla crescita della propria popolazione extracomunitaria, ma anche a quella dei nostri vicini.   Cosa che sta rendendo problematici i nostri rapporti con gli altri paesi europei.  Temporanee e parziali chiusure delle nostre frontiere sono già avvenute.  Se dovessero diventare definitive, il rischio di diventare un “cul di sacco” per una massa non valutabile di persone sarebbe molto elevato.

3 – Gli attuali livelli di pressione migratoria sono solo un blando assaggio di ciò che avverrà nei decenni venturi.   Con l’intera Africa e l’intero mondo islamico, dal Pakistan al Marocco, sull’orlo del collasso e forse di una grande guerra pan-islamica le prospettive sono nerissime.   Ciò che sta accadendo è solo l’inizio della deflagrazione della Bomba Demografica globale, qualcosa che non è mai accaduto prima nella storia dell’umanità e dalle conseguenze molto più tragiche di quanto non ci piaccia immaginare.   In altre parole, una vera invasione non è ancora in corso, ma è fra le prospettive possibili già nel giro di pochi anni.

4 – Il pericolo maggiore connesso con il proseguimento dell’attuale politica sull’immigrazione  è una crescita del livello di stress sociale che, prima o poi, finirà col portare partiti nazionalisti al governo di molti paesi UE.   Certo, non possiamo essere certi di cosa farebbero una volta al comando; la differenza fra ciò che si dichiara quando si è all’opposizione e ciò che si fa quando si è al governo è solitamente notevole.   Tuttavia è un’eventualità che potrebbe provocare la disintegrazione almeno parziale della delicata struttura comunitaria, lasciando parecchi paesi privi dei mezzi necessari per fronteggiare e gestire le crisi davvero gravi che sicuramente ci aspettano.    Per esempio, non penso proprio che l’Italia odierna avrebbe né la forza politica, né quella militare per trattare accordi convenienti con gli altri paesi.   Men che meno per controllare una frontiera come la nostra.

Proposte?

E’ molto rilassante essere un “signor Nessuno”, garantisce dal rischio che i propri eventuali errori vengano pagati da altri.   Forte di ciò, vorrei azzardare qualche suggerimento.

Il primo punto da mettere in conto ritengo sia recuperare un ragionevole controllo sulle frontiere interne ed esterne.  Che non significa sigillarle (non sarebbe nemmeno fattibile), bensì poter controllare l’ordine di grandezza dei flussi.   Una cosa vitale per qualunque paese che intenda continuare ad esistere, ma molto più facile da dire che da fare e, comunque, molto costosa.   Per questo, ritengo che solo un’effettiva collaborazione a livello europeo sarebbe una condizione necessaria , ancorché non sufficiente per riuscirci.   Ciò presuppone che tutti i paesi concordino e rispettino un ragionevole compromesso fra le loro diverse posizioni; una cosa che finora nessuno ha voluto fare.

Il secondo punto  è che non sono e non saranno un problema i rifugiati.   Sono troppo pochi, sono i più motivati ad integrarsi e sono anche la categoria che pone i maggiori obblighi etici, visto che respingerli significa esporli a rischi elevati, non di rado mortali.

Il terzo è che l’accoglienza dei migranti in cerca di lavoro dovrebbe essere commisurata alla possibilità di un loro inserimento lavorativo. Certamente ci sono ancora dei margini, ma esigui ed in contrazione, vista la generale contrazione del nostro sistema economico che tende ad espellere e non ad assorbire forza lavoro.

Potrebbero sembrare banalità, ed invece sono alcuni degli scogli su cui si stanno infrangendo molte delle nostre speranze per una transizione non troppo dolorosa verso il mondo che sarà.

 

Cittadini stranieri regolarmente residenti al 1º gennaio
Paese di cittadinanza 2005 Variazione
2005-2010
(%)
2010 Variazione
2010-2016
(%)
2016
 Romania 248 849 257 887 763 30 1 151 395
 Albania 316 659 47 466 684 0 467 687
 Marocco 294 945 46 431 529 1 437 485
 Cina 111 712 69 188 352 44 271 330
 Ucraina 93 441 86 174 129 33 230 728
 Filippine 82 625 50 123 584 34 165 900
 India 37 971 178 105 863 42 150 456
 Moldavia 54 288 95 105 600 35 142 266
 Bangladesh 35 785 107 73 965 61 118 790
 Egitto 52 865 55 82 064 34 109 871
 Perù 53 378 64 87 747 18 103 714
 Sri Lanka 45 572 65 75 343 36 102 316
 Pakistan 35 509 83 64 859 57 101 784
 Senegal 53 941 35 72 618 35 98 176
 Polonia 50 794 108 105 608 -7 97 986
 Tunisia 78 230 33 103 678 -8 95 645
 Ecuador 53 220 61 85 940 2 87 427
 Nigeria 31 647 54 48 674 59 77 264
 Macedonia 58 460 59 92 847 -21 73 512
 Bulgaria 15 374 199 46 026 26 58 001
Nota: le comunità sovraelencate sono quelle che superano i 50.000 residenti nel 2016 e complessivamente costituiscono oltre l’82% degli stranieri in Italia.

 

Estrema destra ancora vittoriosa! Domande?

MerkelDomenica scorsa il partito austriaco di estrema destra è diventato il primo del Paese.   Socialisti e democristiani, tradizionali partiti di riferimento, sono praticamente scomparsi.   Ci sono domande?    Penso parecchie.
La cavalcata dell’ estrema destra non solo europea, ma anche americana, cominciò in sordina negli anni ’90.   Considerato allora un fenomeno marginale, oggi sta riempiendo le agende delle think tank e degli analisti; turbando i sonni di un sacco di gente.   Non tenterò qui un riassunto di una tale mole di analisi su di un soggetto così complesso.    Semplicemente vorrei proporre qualche considerazione personale che spero possa contribuire, sia pure minimamente, ad arginare il fenomeno.

destra franceseLa prima è questa: di turno elettorale in turno elettorale l’ estrema destra avanza.  Possibile che tanta gente che votava socialista o democristiano (intesi in senso europeo, molto lato) si stia svegliando nazista o fascista?   Personalmente penso che sia poco probabile.   L’ estrema destra ha sempre avuto una sua nicchia, ma marginale era e penso che marginale rimanga.   La massa di voti che raccoglie ha tutta l’aria di essere un voto di protesta e/o di paura.   Niente di particolarmente nuovo, dunque, ma che rischia di generare degli effetti a medio termine perversi.

destra austriacaSospinti dal voto di protesta, i leader dell’ estrema destra andranno probabilmente al potere, dove potrebbero fare dei danni irreparabili.   Specialmente se i governi moderati in carica continueranno a preparare loro in terreno.
Dunque la prima cosa da fare sarebbe capire quali sono i principali argomenti che suscitano nella cittadinanza questo tipo di rischiosa protesta.   Per farsene un’idea, il modo più semplice è osservare quali sono i pochi punti che accomunano la maggior parte dei partiti e dei movimenti di maggior successo, peraltro assai eterogenei.   Direi che i principali sono i seguenti: la recessione con annessi e connessi, la corruzione, l’immigrazione, la sicurezza, il nazionalismo.   Non necessariamente in quest’ordine.

Dunque vediamoli brevemente uno alla volta per vedere se sono possibile delle parate, almeno parziali.

Recessione.

recessioneQuesta è la “madre di tutte le grane”.   Abbiamo costruito il nostro sistema politico basandoci sul presupposto che la crescita economica sarebbe durata per sempre e che, gradualmente, avrebbe coinvolto tutti.   50 anni fa già si sapeva benissimo che si tratta di una favola, ma nessun politico importante ha avuto il coraggio di spiegarlo ai suoi elettori.   E nessun corpo elettorale era ed è disposto a sentirselo dire.   Ne consegue questo sempre più frenetico arrampicarsi sugli specchi che inganna sempre meno gente, offrendo buon gioco a chi propone ricette tanto semplici quanto improbabili (ad es. usciamo dall’Euro).   Paradossalmente, proprio perché semplici ed improbabili, simili proposte fanno presa su chi, giustamente, sente di essere stato pesantemente preso per il culo.   Di qui l’inevitabile altalena di politici che ascendono promettendo di avere la ricetta giusta, per poi immancabilmente deludere.

Qui la parata sarebbe particolarmente difficile perché bisognerebbe spiegare come e perché la crescita non tornerà mai più e che questo, fra tutti i mali possibili, è il minore.   Molto difficile che possa funzionare.   Credo che sia persa, anche se mi piacerebbe vedere qualcuno che ci prova.

Corruzione.

corruzioneUna certa percentuale di parassiti ci sono sempre stati, ma quando diventano tanti e sfrontati scatta la modalità “Sono tutti ladri” che è esattamente quello di cui ha bisogno chi si propone come “quello che farà pulizia”.   Sappiamo già che non è vero ma ci piace illuderci.

Qui la parata sarebbe teoricamente facile: piantarla con gli interessi privati in politica.   Ma visto che in parecchi non lo fanno, forse è meno facile di quel che sembra da fuori.   Forse, una parziale spiegazione è che per salire di molto sulla la scala gerarchica è necessario disporre di un sacco di soldi, propri o di sostenitori.   E per avere i soldi ti devi legare ad un mondo economico in cui il limite fra l’economia “pulita” e quella “canaglia” sfuma di giorno in giorno.   Una volta che sei arrivato in alto, non solo non puoi abbandonare gli “amici degli amici”, ma oramai sei diventato uno di loro.

Immigrazione

immigrazioneQuesto è forse il punto in cui la classe dirigente sta fallendo nel modo più spettacolare.   Un sacco di poteri forti e deboli hanno un sacco di interessi legittimi e non in quest’affare ed ognuno tira il governo dalla sua parte, col risultato che assolutamente niente di quello che è stato fatto dai primi anni ’90 ad oggi ha il benché minimo senso logico.   I risultati non possono che peggiorare man mano che il fenomeno cresce all’interno di sistemi sociali progressivamente fragilizzati dalla crisi economica.

In generale io rifiuto la logica binaria, ma in questo caso credo che potrebbe esserci di aiuto.   Credo che ognuno, nel silenzio della sua cameretta, dovrebbe porsi questa domanda: L’Italia (o l’Europa) è sovrappopolata?   Si o no?   Barrare la casella.   Se si sceglie “Si”, allora è vitale stabilire un efficace controllo delle frontiere esterne e decidere chi facciamo passare e chi no.   Fra “tutti” e ”nessuno” ci sono parecchie opzioni possibili, ma nessuna con tutti sono contenti e nessuno si fa male.   Qualunque scelta facciamo ci saranno dolore e morte.   Se si sceglie “No”, allora l’unica cosa sensata da fare è un servizio regolare di traghetti che prendono la gente e la porti qui.   Ma anche in questo caso ci saranno dolore e morte.
Questo perché, purtroppo, la risposta corretta è “Si, parecchio” e continuare a negare che abbiamo un drammatico problema di quantità di gente serve solo ad aprire la strada chi sostiene che il problema è la qualità.
Il mio parere di ecologo professionista e storico dilettante è che società multietniche e multiculturali sono difficili, ma gestibili (con qualche incidente) ed è vero che la diversità è ricchezza.   Ma e’ anche vero che la nostra economia ed i nostri ecosistemi stanno collassando e che ogni persona in più, anche se rimane nel novero dei poveri, non fa che accrescere un’impronta ecologica già esorbitante.   E non è neanche vero che si potrebbe compensare riducendo lo standard di vita degli autoctoni.   Cosa che, fra l’altro, sta già accadendo (v. recessione) e non sono in molti a rallegrarsene.
Ridurre i propri consumi è infatti esattamente quello che è necessario fare per distruggere il più rapidamente possibile quello che resta della nostra economia industriale.   Una scelta che si può anche fare, ma che andrebbe fatta coscienti delle conseguenze.
Certo, dal momento che gli immigrati sono il 10% della popolazione europea, sono anche il 10% del problema dal punto di vista demografico ed ambientale, ma crescono al ritmo di circa due milioni l’anno e in dinamica dei sistemi le tendenze sono fondamentali.

Sicurezza

terrorismoCi sono due minacce che spaventano: la criminalità ed il terrorismo.

Quanto alla prima, è importante notare che il rapinatore od anche il topo d’appartamento sono assai più temuti del mafioso, autoctono o di importazione che sia.   E la criminalità spicciola è in buona misura una funzione sia della densità di popolazione che della povertà.   Aumentando la quantità di gente e la percentuale di poveri non può che aumentare, quale che sia l’origine dei poveri.

Quanto alla seconda, la probabilità di essere ammazzato da un pazzoide (islamista o meno) è enormemente più bassa di quella di prendersi un cancro, un infarto o di finire sotto una macchina, perfino a Baghdad.   Tuttavia i terroristi sono effettivamente riusciti a terrorizzarci, col risultato che, dal 2001 ad oggi, gli apparati di spionaggio e repressione si sono moltiplicati e raffinati considerevolmente.   Altri passi in questo senso saranno fatti al seguito di ogni futuro attentato, finché saremo completamente prigionieri di noi stessi.   Il confine fra “protezione” e “sopraffazione” tende a sfumare con l’aumento di intensità della protezione.   E cosa di meglio per un partito che aspirasse ad instaurare un governo autoritario che trovarsi l’intera macchina della “psicopolizia” già avviata e rodata?

Qui la parata comporterebbe una strategia di comunicazione complessa, tesa a dare una visione più realistica  dei rischi reali.   Ma questo non consentirebbe facili speculazioni elettorali neanche ai governi in carica.

Nazionalismo.

nazionalismoNella storia del mondo sono state sperimentate migliaia di forme di stato.   La nazione, intesa come sincretismo di un territorio contiguo, una popolazione omogenea ed un governo è un’invenzione del XIX secolo europeo.   Ed è stato il più fallimentare degli esperimenti politici della storia umana.   Due volte i paesi principali europei hanno avuto governi nazionalisti e ne sono scaturite le due guerre più devastanti della storia del mondo.   Alla fine, l’Europa che 50 anni prima dominava incontrastata il mondo, era ridotta ad un pugno di colonie chi della Russia e che degli Stati Uniti.   Evviva!  Riproviamoci!

Qui la parata richiederebbe innazitutto di insegnare la storia nelle scuole.   Poi ci vorrebbe una radicale ristrutturazione delle tremendamente ridondanti istituzioni europee.   L’autorità centrale dovrebbe essere da un lato ristretta a pochi temi vitali (ad es. ambiente, difesa, politica estera, macroeconomia).   Dall’altro, dovrebbe essere svincolata dal controllo dei governi nazionali.   Ma si da il caso che, di tutte le istituzioni europee, la meno soggetta al controllo nazionale è il parlamento, cioè quella che conta di gran lunga meno.   Viceversa, chi davvero decide è il Consiglio dell’Unione Europea che è composto dai rappresentanti dei governi nazionali (ministri o capi di governo, secondo gli argomenti).  Ed al suo interno, l’Eurogruppo, che non è neanche un’istituzione, ma semplicemente il club dei governi che hanno adottato l’Euro.

Conclusioni

Insomma, io credo che fermare la cavalcata dell’ estrema destra si potrebbe, ma non sarebbe facile e, soprattutto, richiederebbe un buon bagno di realtà tanto per i governanti che per gli elettori.   Non mi sembra che ne abbiano molta voglia né gli uni, né gli altri.