In un precedente post avevo preso una posizione del tipo “voto no, ma senza entusiasmo” in quanto convengo che la costituzione attuale non sia più adeguata ai tempi, ma la riforma mi pareva peggiorativa. Il referendum è stato votato e ora tutti si ingegnano ad analizzarne il risultato. Su di un blog come questo non possiamo esimerci dal fare la nostra piccola parte in questa discussione cercando, come al solito, di dare un punto di vista un tantino diverso da quelli più di moda. Non migliore, semplicemente un pochino diverso.
Perciò qui non vorrei discutere nel merito della riforma che, giusta o sbagliata che fosse, non si farà. Vorrei invece dare un’occhiata agli errori che Renzi ha commesso nella campagna elettorale “peggiore di sempre” e quali lezioni politiche se ne possono eventualmente ricavare.
Sbaglio 1. La sua riforma era tecnicamente pasticciata. Al di la del merito, gli articoli erano scritti in modo da lasciare ampio margine di manovra ai giuristi ed ai costituzionalisti che la avversavano. Era ovvio che la grande maggioranza dei magistrati e dei costituzionalisti avrebbero preso una posizione conservatrice, è il loro ruolo, e Renzi avrebbe fatto meglio a mandare in giro gente meglio preparata. Al di là di questo, qui la lezione è che manipolare un sistema estremamente complesso come un moderno sistema normativo ed istituzionale è un compito pazzescamente difficile che può essere tentato solo sulla scorta di una competenza tecnica estrema di ogni dettaglio. Altrimenti il rischio di fare danni imprevisti ed imprevedibili è molto alto, per quanto buone possano essere le intenzioni.
Sbaglio 2. Farsi dare sostegno ufficiale dalle istituzioni finanziarie, dalla confindustria, perfino dalla Merkel e da Schäuble, due dei soggetti meno popolari del momento (a buon diritto, peraltro). Mica male per uno che nel frattempo si proponeva come paladino “contro il sistema”. Stesso identico errore fatto dalla Clinton: ad ogni “endorsment” da parte di pezzi grossi dell’economia e della finanza ha perso voti. Lo stesso ha fatto Cameron, mentre il contrario lo ha fatto Trump che, malgrado sia lui stesso un “big” ben piazzato nel cuore del sistema, ha vinto anche grazie al voto di protesta.
A parte l’errore tattico, cosa ci dice questo? Una cosa estremamente allarmante: che le istituzioni ed i personaggi illustri hanno perso la fiducia e la credibilità. Questo è estremamente pericoloso perché, letteralmente, spalanca porte da cui è molto più facile che passino diavoli piuttosto che angeli.
Sbaglio 3. Personalizzare il voto. Come capo dell’esecutivo, Renzi avrebbe avuto il dovere istituzionale di essere (o perlomeno di fingersi) neutrale. Cinicamente, avrebbe così evitato che, di fatto, si formasse una coalizione di tutti contro di lui, ma soprattutto avrebbe messo il governo al riparo dai risultati incerti della consultazione. In altre parole, mentre tuonava contro l’instabilità, era lui il primo a destabilizzare. Non predisporre una scappatoia in caso di sconfitta è un errore di una banalità disarmante. Comunque, anche qui c’è una lezione da imparare: la popolarità si perde con estrema rapidità. Renzi ha fatto una parabola per alcuni aspetti simile a quella di Berlusconi, ma che si è conclusa dopo 3 anni invece che in 20. Molti sono gli elementi di diversità fra i due casi, ma comunque chi si pone come “leader carismatico” può oramai contare su pochi anni di autonomia, se non pochi mesi. Parlare di stabilità in queste condizioni è possibile solamente se, anziché sulla faccia del leader, ci si basa sulle istituzioni. Cioè proprio quella cosa che tutti gli aspiranti “capi” si affannano a picconare. Aprendo altre porte molto pericolose.
Sbaglio 4. Presentare gli avversari come imbecilli, retrogradi, ecc. Non funziona, semmai motiva chi già propende per l’altro campo a diventare un attivista. Ancora più grave, per avallare questa tesi la propaganda renziana ha dato risalto ai più fanfaroni dei suoi avversari, anziché a quelli più seri e competenti. Col risultato di avere, ancora una volta, creato un sacco di polverone laddove ci sarebbe voluta lucida critica e puntuale analisi.
Altra lezioncina: nel dibattito politico meglio concentrarsi sugli avversari più credibili ed affidabili (in questo caso buona parte della magistratura). Non per dar loro ragione, ma per alzare il livello del dibattito e marginalizzare quelli che sanno solo sbraitare. Sempre che si sia in grado di competere su di un terreno di questo tipo.
Sbaglio 5. Scimmiottare gli slogan antieuropeisti di Salvini e Grillo, oltre che infarcire la legge finanziaria di marchette che sai non essere fattibili. Lo scopo era quello di blandire vari settori di elettorato, in particolare con gli eurofobici. Geniale per uno che avrebbe potuto essere il leader del secondo partito europeo se solo ci avesse fatto caso! Ancora più geniale sparare su Junker (che per una volta è stato furbo), mentre chiedeva appoggio alla Merkel! Comunque, l’elettorato eurofobico ha già i suoi punti di riferimento consolidati nella Lega e nei 5stelle, cioè nei due principali avversari del PD. Non poteva funzionare.
Ancora una volta, la lezione dovrebbe essere quella che conviene sempre cercare di tenere il dibattito il più in alto possibile, spiegando le cose nel merito e nel dettaglio, distinguendo e precisando in modo da lasciare un’utile eredità anche in caso di sconfitta.
Sbaglio 6. Agitare la paura del caos che dovrebbe seguire la tua eventuale sconfitta. Si sa, la paura del nemico aggrega e rende i cittadini consenzienti a molte cose altrimenti inaccettabili. Una ricetta che, chi più chi meno, stanno usando un po’ tutti i governi del mondo. Ma se in Russia la paura degli americani può funzionare, in Italia la paura di Grillo non basta. Sono troppo diversi i contesti e la percentuale di realtà sottostante l’esagerazione propagandistica. Inoltre, si da il caso che una grossa percentuale di elettorato abbia raggiunto un limite di esasperazione tale da desiderare il caos più della stabilità che pretendi di rappresentare (e che invece picconi per primo). Questa è, secondo me, la lezione principale: soffiare sul fuoco per cavalcare le fiamme è un gioco che finisce molto più facilmente male che bene. E fa perdere l’appoggio di quanti hanno invece l’abitudine di riflettere; cioè proprio della porzione di opinione pubblica su cui si può appoggiare un’azione politica costruttiva.
In sintesi, se mi potessi permettere di dare un consiglio non richiesto ai politici, direi questo: Piantatela di sfruttare l’onda del malcontento per la vostra personale carriera. Certo, l’onda vi può portare in alto, ma per gli stessi motivi per cui vi favorisce finché siete all’opposizione, vi travolge quando siete al governo.
Se davvero volete stabilità, la prima cosa da fare è smettere di spararle grosse e concentrarsi sui fatti. Pensare che calmare gli animi e spiegare le cose è più importante che vincere la prossima consultazione e che perdere bene può essere meglio che vincere male.
Chi vincerà cavalcando le onde della rabbia e della paura durerà comunque poco. A meno che non sia in grado di cogliere un’occasione fugace per insediare un governo più o meno totalitario: un pericolo gravissimo e molto presente per tutti noi. L’aver avuto 70 anni di sostanziale libertà personale non ci mette al riparo da niente, anzi ci rende particolarmente vulnerabili perché abbiamo dimenticato quanto facilmente certi fenomeni avvengono. E quanto la rabbia, la paura e l’esasperazione facilitino la scalata al potere di personaggi pericolosi.
Il mio consiglio agli elettori è quindi questo: diffidate sempre di chi fomenta sentimenti forti e contagiosi come la rabbia e la paura. I pericoli ci sono e sono molto più grandi di quel che molti di noi non sospettino, ma farsi prendere dalla furia o dal panico è il modo più sicuro per esserne travolti nel peggiore dei modi possibili.